Amnesty International: la tecnologia dello sfruttamento
Il Cobalto estratto in Congo abusando del lavoro
minorile finisce nelle batterie degli smartphone e delle auto
elettriche, passando dai fornitori di componenti asiatici. La denuncia
dell'organizzazione che si batte per i diritti umani.
Gli smartphone venduti in
occidente sarebbero venduti al costo della vita dei bambini della
Repubblica Democratica del Congo al lavoro nelle miniere di Cobalto da
cui viene estratto il prezioso materiale. A riferirlo è l'ultimo rapporto condotto da Amnesty International, che ha raccolto foto e testimoniante di 87 persone, tra cui 17 bambini tra i 9 ed i 17 anni,
impiegati nelle miniere del Congo: il lavoro, pesante e spesso
sotterraneo, può durare fino a 12 ore al giorno e prevede un salario
giornaliero compreso tra 1 e 2 dollari.
Tristemente, il fatto che i materiali provenienti dal Congo siano frutto dello sfruttamento anche del lavoro minorile non è una novità. Amnesty, tuttavia, ha ribadito il problema fornendo anche testimonianze fotografiche e puntando il dito contro 16 multinazionali, tra cui Apple, Microsoft e Samsung, ma anche Volkswagen e Daimler AG, i cui prodotti ospitano il minerale estratto.
In questo modo le aziende finirebbero per sfruttare tale produzione a basso costo ottenendo componenti a buon mercato: essendo parte dell'equazione dello sfruttamento, auspica Amnesty, potrebbero rappresentare la variabile per spezzare la catena.Le aziende ICT, in particolare, non sono peraltro nuove ad accuse circa le condizioni di lavoro nelle fabbriche dei loro fornitori situate in paesi emergenti senza una normativa a tutela dei lavoratori che si possa definire tale.
Secondo Amnesty, le logiche neocolonialiste spingerebbero le aziende ICT a rivolgersi ai paesi emergenti dove il costo del lavoro e dei materiali è più basso per rimediare le componenti come il cobalto utilizzati nella produzione di batterie. Anche nel caso dello sfruttamento dell'Africa, poi, il legame forte sarebbe con la Cina: il produttore locale di cobalto lo rivenderebbe infatti ad aziende cinesi e coreane che lo impiegano nella produzione di batterie agli ioni di litio montate negli smartphone e nelle macchine elettriche.
Tutte le aziende contattate da Amnesty hanno riferito di non sapere nulla dei legami tra i loro fornitori e le miniere del Congo, a parte Apple e Microsoft che hanno riferito di star "rivalutando la loro catena produttiva".
Tristemente, il fatto che i materiali provenienti dal Congo siano frutto dello sfruttamento anche del lavoro minorile non è una novità. Amnesty, tuttavia, ha ribadito il problema fornendo anche testimonianze fotografiche e puntando il dito contro 16 multinazionali, tra cui Apple, Microsoft e Samsung, ma anche Volkswagen e Daimler AG, i cui prodotti ospitano il minerale estratto.
In questo modo le aziende finirebbero per sfruttare tale produzione a basso costo ottenendo componenti a buon mercato: essendo parte dell'equazione dello sfruttamento, auspica Amnesty, potrebbero rappresentare la variabile per spezzare la catena.Le aziende ICT, in particolare, non sono peraltro nuove ad accuse circa le condizioni di lavoro nelle fabbriche dei loro fornitori situate in paesi emergenti senza una normativa a tutela dei lavoratori che si possa definire tale.
Secondo Amnesty, le logiche neocolonialiste spingerebbero le aziende ICT a rivolgersi ai paesi emergenti dove il costo del lavoro e dei materiali è più basso per rimediare le componenti come il cobalto utilizzati nella produzione di batterie. Anche nel caso dello sfruttamento dell'Africa, poi, il legame forte sarebbe con la Cina: il produttore locale di cobalto lo rivenderebbe infatti ad aziende cinesi e coreane che lo impiegano nella produzione di batterie agli ioni di litio montate negli smartphone e nelle macchine elettriche.
Tutte le aziende contattate da Amnesty hanno riferito di non sapere nulla dei legami tra i loro fornitori e le miniere del Congo, a parte Apple e Microsoft che hanno riferito di star "rivalutando la loro catena produttiva".
Fonte: puntoinformatico.it
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