Il Canada dice no ai cacciabombardieri F35, l'Italia va avanti
Il Canada dice no agli F-35. Lo ha annunciato qualche giorno fa il Ministro della Difesa Peter MacKay
spiegando che il governo rifarà tutte le valutazioni in merito alla
sostituzione dei 77 CF-18 attualmente in servizio e prenderà in esame
soluzioni alternative all'acquisizione dei 65 cacciabombardieri F35
prodotti dalla statunitense Lockheed martin e originariamente
commissionati dal governo.
Il passo indietro dell'esecutivo canadese arriva dopo una forte
opposizione al progetto espressa sia dai partiti attualmente di
minoranza (i moderati progressisti del "Liberal party" i
socialdemocratici del "New Democratic party") sia dalla maggioranza
dell'opinione pubblica. Il colpo di grazia al programma di acquisizione
degli F35 è però arrivato da un rapporto del General Account Office (la
Corte dei Conti canadese) e da una ricerca della società Kpmg. Entrambi
questi studi hanno dimostrato come i reali costi del progetto erano notevolmente superiori rispetto a quelli stimati dal governo: inizialmente
il governo canadese aveva stimato i costi dell'operazione in 9 miliardi
di dollari per poi aumentarli a 16, ma le nuove ricerche hanno
dimostrato che l'eventuale acquisizione dei cacciabombardieri F35,
tenendo presenti gli ingenti costi di manutenzione e gestione, sarebbe
costata circa 45,8 miliardi di dollari, cifra che sarebbe gravata sui
bilanci dei prossimi 42 anni.
Attualmente anche altri governi stanno rivalutando la propria adesione al progetto Joint Strike Fighter: Norvegia e Australia
lo hanno sospeso, mentre in Olanda i voti parlamentari di cancellazione
non sono ancora stati messi in atto dal governo. In Italia, al
contrario, non solo non si mette in discussione il progetto ma le forze
politiche non hanno neanche instaurato un confronto democratico
sull'argomento.
In italia invece lo scorso 11 dicembre, con 294 voti a favore, 53
astenuti e 23 voti contrari, la Camera ha approvato il disegno di legge
delega per la revisione delle Forze Armate del Ministro della Difesa
Ammiraglio Giampaolo Di Paola. Ciò, nonostante il sit in davanti a
Montecitorio organizzato da Tavola per la Pace, Sbilanciamoci e Rete
italiana per il disarmo e nonostante anche in Italia si sia scoperto che
i costi del progetto siano decisamente superiori rispetto a quelli
dichiarati dal governo.
Ad ammetterlo è stato il generale Claudio Debertolis,
segretario generale della Difesa che, dopo aver parlato nel febbraio
scorso in audizione alla Camera di un prezzo per i primi 3 F-35A di 80
milioni di dollari per il solo aereo "nudo", ha poi dichiarato
intervistato da Silvio Lora Lamia per analisidifesa.it
che il prezzo reale ammonta a 127,3 milioni per aereo "puro" mentre,
considerando tutte le spese, gli 80 milioni originariamente dichirati
devono essere più che raddoppiati. In generale il costo
dell'acquisizione dei 90 F35 commissionati dall'Italia, di cui 30 nella
versione B che è molta più costosa rispetto a quella A, dovrebbe
aggirarsi intorno ai 15 miliardi di dollari, contro i 10 previsti dal
governo, senza prendere in considerazione le notevoli spese di
manutenzione e gestione che fanno lievitare i costi in maniera
esorbitante.
Ma le spese non finiscono qui. L'Italia è, infatti, l'unico paese che
fa parte del progetto, oltre gli Stati Uniti, ad aver già costruito uno
stabilimento per i nuovi cacciabombardieri, ossia il cosiddetto FACO (Final Assembly and Check Out). Spesa già sostenuta 800 milioni di euro, ovviamente tutta sulle spalle dei contribuenti.
Anche su questo tema sono state diffuse notizie non veritiere: negli
ultimi dodici anni tutti i governi che si sono succeduti hanno
legittimato questa spesa con la creazione di 10.000 nuovi posti di
lavoro. Tale cifra è stata smentita da Finmeccanicca
che in audizione alla Camera ha parlato di 2.500 nuovi posti di lavoro
complessivi nel momento di picco di produzione, pur precisando che la
stima deve essere ulteriormente abbassata se si considera che i caccia
che dovrebbe acquistare l'Italia sono meno dei 100 inizialmente
promessi agli Stati Uniti.
Ma allora da dove deriva l'assoluta necessità di acquistare i cacciabombardieri F35? Lo scorso luglio Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo, riferendosi al Ministro di Paola si è chiesto: "Forse
perché dieci anni fa ha firmato lui l'accordo per la fase di sviluppo
del programma venendo definito dagli americani il miglior amico dell'F35?".
Recentemente Vignarca dalle pagine de Il Fatto Quotidiano
ha parlato anche degli interessi che le banche e la finanza avrebbero
in merito al proggetto e, più in generale, nel settore delle armi"La finanza- spiega Vignarca- gioca
un ruolo implicito nel settore sostenendo anche il collocamento di
azioni delle società e i fondi di investimento. E lo fa perché quello
delle armi non è un mercato, è un settore senza concorrenza dove la
committenza è pubblica e consente di accaparrarsi commesse dai ritorni
altissimi garantiti dallo Stato. Tutti gli attori hanno vantaggi:
produttori e finanziatori incassano denaro, i manager pubblici, portano a
casa bonus e stock option, i ricavi delle aziende, e qui torna la
finanza, vanno dritto nei paradisi fiscali. L'80% delle società della
galassia Finmeccanica ha sede fuori dai nostri confini, anche in paesi
dalle facilitazioni fiscali come Olanda e Lussemburgo. Gli utili li fa
così, non pagando le tasse allo Stato che ne è proprietario e creando
con gli utili possibili provviste per le tangenti che dominano
globalmente i meccanismi di commercio delle armi, da soli responsabili
del 50% della corruzione mondiale".
btimes.com
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