Medvedev ai militari: preparatevi a distruggere lo scudo Usa in Europa. Casa Bianca: andiamo avanti

Scuro in volto, davanti al tricolore nazionale, Dmitrij Medvedev è apparso improvvisamente in tv per un annuncio: ha ordinato ai vertici militari di mettersi nelle condizioni di distruggere il sistema di difesa missilistico che gli Stati Uniti stanno pianificando in Europa, dalla Polonia alla Romania. 

Tra le misure previste, lo schieramento di missili Iskander (gittata 500 km) nell'enclave russa di Kaliningrad, stretta tra Lituania e Polonia, dunque circondata da territorio dell'Unione Europea. Poche ore prima, Washington aveva annunciato la sospensione dell'invio di informazioni a Mosca sugli spostamenti di forze convenzionali in territorio europeo, in obbedienza al Trattato Cfe dal quale, in realtà, i russi si sono ritirati già da quattro anni. La decisione di Washington è stata subito seguita dagli alleati della Nato.

Non è la prima volta che il Cremlino agita lo spauracchio dei missili trasferiti alle porte della Ue, ma questa volta le parole del presidente Medvedev sono la spia di un momento particolarmente difficile nei rapporti con Washington, da anni offuscati dall'impossibilità di trovare un linguaggio comune sullo Scudo spaziale, che Mosca avverte come una minaccia sulla propria deterrenza nucleare. Washington ripete che il sistema è diretto contro l'Iran, non contro Mosca, ma non accetta di dare garanzie scritte. I suoi piani per installare missili e radar in Europa – è la prima reazione della Casa Bianca alle parole di Medvedev – non verranno modificati.

Poco dopo l'annuncio di Medvedev, da Bruxelles gli ha fatto eco l'ambasciatore russo alla Ue, Dmitrij Rogozin: i provvedimenti militari ordinati dal presidente, ha detto, mettono Mosca in grado di annientare la minaccia che lo Scudo costituisce per i russi. Se i toni sono particolarmente duri, è possibile che abbiano anche a che fare con questa vigilia elettorale che vede il Cremlino costretto a difendere un calo di popolarità di Medvedev, di Putin e del loro partito, Russia Unita. Quando domenica scorsa Putin è stato fischiato in pubblico, al termine di un combattimento di arti marziali, probabilmente un campanello d'allarme è suonato forte al Cremlino: la popolarità dello Zar non si può più dare per scontata.

Così il primo ministro in attesa di tornare presidente mercoledì ha avvertito la Duma che, tra primavere arabe e crisi in Eurolandia, la Russia è come una nave in mezzo alla tempesta: per salvarsi da rischi politici ed economici è necessario che chi è al timone irrigidisca la presa, per garantire la stabilità. Il voto del 4 dicembre per il rinnovo del Parlamento è vicino, poi a marzo ci saranno le elezioni presidenziali. Ogni mezzo è lecito per il partito del potere, che comincia facendo appello alle frange nazionaliste degli elettori: che apprezzano molto, quando si alza la voce con Washington.




ilsole24ore.com

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