A tavola con la mafia: le mani sul cibo Made in Italy

Carni macellate, acqua, latte e latticini. E poi frutti di mare, caffè, interi mercati ortofrutticoli. 

Le mafie a tavola sono il nuovo fronte della criminalità organizzata, dichiara Legambiente: «Un’aggressione senza precedenti al made in Italy gastronomico», è la denuncia lanciata da “FestAmbiente”, manifestazione nazionale di metà agosto a Rispescia, Grosseto. Sommando i dati messi a disposizione dai carabinieri (comando tutela salute e politiche agricole), dalla Forestale e dalle capitanerie di porto, il secondo “Rapporto Ecomafia” di Legambiente spiega che nel 2011 «i reati accertati nel settore agroalimentare sono stati 13.867, più che triplicati rispetto al 2010, mentre i sequestri sono stati pari a 1,2 miliardi di euro, con un danno erariale di oltre 113 milioni». I clan con le “mani in pasta” sono 27, segnala “GreenReport”. E secondo il “Cigno Verde”, «a tavola è seduto il gotha delle mafie: dai Gambino ai Casalesi, dai Mallardo alla mafia di Matteo Messina Denaro, dai Morabito ai Rinzivillo.


Clan potentissimi, che investono anche nella ristorazione: sulla base delle recenti inchieste e dei sequestri di beni, si è stimato in almeno 5.000 il numero dei locali nelle mani della criminalità, fra ristoranti, pizzerie e bar, intestati soprattutto a prestanome e usati come copertura per riciclare i soldi sporchi. «Si tratta di numeri che meritano un approfondimento – rileva “GreenReport” – proprio per la particolare gravità di queste attività illegali, che impattano su un settore economico, quello agroalimentare, di grande rilievo per il nostro paese e minacciano la salute dei cittadini». Le inchieste e le relazioni della magistratura antimafia hanno rintracciato la mano delle cosche su ogni tipo di generi alimentari. Secondo la Direzione nazionale antimafia, «i gruppi criminali sono in grado di gestire tutte le attività relative alla produzione e allo smercio dei prodotti agricoli, lungo tutta la filiera che va dalla produzione, al trasporto e alla distribuzione».

Sotto la lente degli investigatori, in particolare, i grandi mercati ortofrutticoli come quelli di Fondi, Vittoria e Milano: è qui che le varie famiglie mafiose stringono affari, senza pestarsi troppo i piedi. «Si dividono i compiti e accumulano profitti illeciti soprattutto nelle fasi intermedie, a cominciare dai trasporti». Alle mafie, aggiunge “GreenReport”, non interessa certamente chi coltiva la terra e non riesce a ricavarne un reddito, per non parlare dei consumatori colpiti dalla crisi, che faticano ad arrivare alla fine del mese. «L’entità degli interessi mafiosi nel settore agroalimentare, in tutto il paese ma soprattutto al Sud, si misura anche attraverso altri indicatori», spiegano a “FestAmbiente”. La relazione dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati e sequestrati relativa all’anno 2011, per esempio, censisce 83 aziende del settore agricoltura, caccia e silvicoltura, il 5,47% del totale di quelle confiscate al 31 dicembre dello scorso anno, cui andrebbe aggiunta una quota delle aziende del settore pesca, trasporti e commercio. Va poi aggiunto che 2.062 dei 10.438 beni immobili confiscati sono terreni agricoli.

Legambiente evidenzia un altro punto critico: il cosiddetto “italian sounding”, una delle forme più diffuse di imitazione del made in Italy nel settore agroalimentare, «rappresentato da quei prodotti che, pur non essendo tecnicamente contraffatti, richiamano in qualche modo, nei colori o nei nomi, l’italianità degli ingredienti, della lavorazione o del prodotto stesso senza però che le materie prime e la relativa lavorazione siano effettivamente italiane. Il famigerato “italian sounding” ha un valore pari a circa 60 miliardi di euro l’anno, su scala mondiale: qualcosa come 164 milioni di euro al giorno. Una cifra che è 2,6 volte superiore rispetto all’attuale valore delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari, 23,3 miliardi di euro nel 2009.


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