La disuguaglianza è la crisi

Pierre Larrouturou aveva ragione: per anni, al contrario della maggior parte degli entusiasti della globalizzazione, il politico ed economista francese ha puntato il dito contro il modello di sviluppo cinese. La spettacolare crescita della Cina, diceva Larrouturou, si basa su un pericoloso eccesso di investimenti e su una gigantesca bolla immobiliare.

Ora questa bolla sta per scoppiare. Se la correzione dei prezzi resterà confinata al mercato cinese, i danni saranno temporanei. Il problema è che il crac asiatico avviene nel contesto di un'economia mondiale che dipende dalla liquidità a buon mercato. I mercati lo sanno benissimo, e l'inquietudine si diffonde come un incendio tra gli sterpi.

Certo, bisognava soffocare la recessione nata dalla crisi del 2008 con l'espansione monetaria, ma questo rimedio non può funzionare a lungo. A forza di accumulare debiti, i governi sprofondano sotto il loro peso. Per garantire una crescita solida – che sarà comunque inferiore a quella cui eravamo abituati – non basta inondare l'economia di liquidità. Bisogna prima di tutto che i consumatori prendano il posto del credito, che altrimenti poggia pericolosamente sulla sabbia. Il guaio è che la tendenza alla disuguaglianza che ha prevalso negli ultimi trent'anni impedisce di ridistribuire i frutti del progresso tecnologico.

Il potere d'acquisto dei cittadini ristagna ormai da una generazione, mentre quello dei ricchi è cresciuto esponenzialmente. Come diceva Henry Ford (che non era esattamente un uomo di “sinistra”), se gli operai vengono pagati poco non possono permettersi di comprare le automobili che producono. Per quanto siano enormi le loro ricchezze, i milionari non possono sostenere da soli il peso della crescita mondiale. Il principale freno alla ripresa economica è proprio la disuguaglianza. Fino a quando i leader mondiali non lo capiranno, saremo condannati alla disoccupazione e alla stagnazione.

 


Fonte: Internazionale n. 1117

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