Nuova Fiera di Roma: costata 355 milioni, crolla per i debiti e i danni strutturali
Inaugurato appena nel 2006, il polo fieristico romano è sull'orlo del
fallimento: 200 milioni i soldi da restituire ai creditori. L'area della
vecchia fiera, che serviva per pagare i fornitori, non è stata mai
venduta. E la nuova? Alcuni padiglioni sono inagibili, come mostra il
Fatto.it, e servono ulteriori 100 milioni per i lavori di
consolidamento. Intanto 23 dipendenti rischiano il licenziamento.
Qual è il destino della Nuova Fiera di Roma? Il sogno Veltroniano, un investimento di 355 milioni di euro per
il polo espositivo della Capitale che doveva competere con le maggiori
realtà fieristiche europee sta per crollare sotto il peso dei debiti –
arrivati a 200 milioni, di cui 70 milioni d’interessi con Banca Unicredit – e dei pesanti danni strutturali dei padiglioni. Ora Fiera di Roma è in procedura prefallimentare: “Se entro luglio non troviamo i soldi per pagare i fornitori, falliamo”, dice lapidario Mauro Mannocchi, amministratore unico di Fiera. Il piano per evitare il crack prevede il licenziamento di 23 dipendenti su 76.
La “cattedrale nel deserto” situata tra la Capitale e
l’aeroporto di Fiumicino, che spicca più per sconfinatezza che per
bellezza, ed edificata nel 2006 dai costruttori romani della famiglia
Toti della Lamaro Costruzioni, proprietari dei terreni, si estende su un’area di 390mila mq, di cui circa la metà è occupata da ben 14 padiglioni espositivi.
Il progetto del nuovo polo fieristico, detenuto al cento per cento dalla holding Investimenti Spa, società i cui soci sono Camera di Commercio di Roma (58,5%), Comune di Roma (21,7%) e Regione Lazio (9,8%), doveva finanziarsi con la vendita della vecchia Fiera di Roma,
chiusa da oltre dieci anni e in stato di abbandono. Si tratta di
un’operazione subordinata all’adozione di una variante urbanistica,
ancora oggi in alto mare e che rischia di naufragare. A distanza di dieci anni non
si conoscono le sorti della vecchia struttura ormai nel degrado e
abbandono di via Cristoforo Colombo. O meglio, la proposta del Comune
prevede un cambio di destinazione d’uso con aumento di cubature su circa 75 mila metri quadrati.
Mentre da un sopralluogo effettuato da un tecnico incaricato
dal Municipio VIII in cui ricade la struttura, la superficie complessiva
degli edifici è di 44 mila mq. Il regalo di cubature – su un’area trentamila mq in più – viene denunciato da Andrea Catarci di
Sel, presidente del VIII Municipio: “E’ una proposta irricevibile –
afferma il minisindaco– perché con l’aumento si va nella direzione della
cementificazione”.
In poche parole, la vecchia fiera ha perso appeal negli anni e la sua
valorizzazione deve passare per la speculazione edilizia, altrimenti
nessuno comprerà l’area. Parallelamente la Nuova Fiera sta letteralmente
cadendo a pezzi: dei 14 padiglioni, 10 sono agibili: quattro sono chiusi da diversi anni:
crepe profonde nei muri, pavimenti dissestati, percorsi pedonali
diroccati, e porte scardinate, risultato del progressivo sprofondamento
dei terreni. Da quando sono iniziati questi fenomeni di diffuso
dissesto? “Immediatamente, dalla consegna del cantiere” – spiega
Mannocchi intervistato da IlFattoQuotidiano.it.
Se non bastasse, per salvare la barca che affonda Mannocchi chiede 100 milioni per fermare i danni strutturali. Soldi (tantissimi) che, secondo il manager, dovrebbe sborsare Lamaro Costruzioni che “ha fatto male i lavori”
e che nel frattempo ha aperto un contenzioso con Investimenti spa per
cautelarsi dal rischio di pagare le manutenzioni. In questo magma di
responsabilità compare anche Stefano Perotti –
arrestato dalla Procura di Firenze per corruzione nell’ambito
dell’inchiesta “Sistema”, accaparrandosi una fetta di appalti sulla
nuova fiera di Roma. Era il 2004 e la Spm Consulting di Perotti vince il bando per l’alta sorveglianza dei lavori.
Insieme alla montagna di debiti e ai problemi strutturali, non
mancano anche quelli organizzativi. Nel 2009, dopo soli otto mesi di
mandato, si dimette l’amministratore delegato della controllante
Investimenti spa, Luigi Mastrobuono, sostituito solamente a gennaio scorso da Carlo Paris. Paris, indicato dal sindaco Ignazio Marino,
doveva essere l’uomo del miracolo. Peccato però che rischia di battere
il record del suo predecessore: Marino ha chiesto le sue dimissioni
nelle scorse settimane. Contattato via mail per un’intervista, risponde
con un laconico: “Credo che sia più prudente non espormi”.
Anche se nei giorni scorsi ha dichiarato che la “Fiera è a un passo dal
fallimento”. A mancare è anche il direttore generale Vincenzo Alfonsi,
che poco dopo l’insediamento di Paris lascia la sua poltrona. Sembra
che abbia lasciato per essersi opposto al taglio del suo stipendio. Dal 2008 è assente un ufficio acquisti e dal 2012 è assente il direttore commerciale.
E non mancano esempi di gestione poco cauta. Un esempio su tutti è
l’accordo con Roma solare, società privata che ha coperto tutti i 14
padiglioni con i suoi pannelli fotovoltaici. Ebbene, anche i quattro padiglioni chiusi e inagibili devono consumare comunque energia elettrica. I trasformatori sono sempre in funzione, producendo alti ricavi per la green utility e alti costi per Fiera di Roma.
Cadono teste e va a picco anche il fatturato della Fiera di Roma che passa da 36 milioni nel 2010 a 21,7 milioni nel 2014.
E di conseguenza salgono i debiti nei confronti dei fornitori, che se
non pagati, come dice Mannocchi “la Fiera di Roma fallisce”. E luglio è
il termine per saldare tutto. “Il tribunale fallimentare – aggiunge l’amministratore unico – ci ha concesso il concordato preventivo e se entro luglio non ripianiamo i conti, andiamo tutti a casa”.
Per ora però, a casa andranno solo i dipendenti, che hanno proclamato
uno sciopero per il 9 giugno prossimo in vista di un congresso
internazionale di medicina.
All’inizio del 2015 Fiera di Roma apre la mobilità per 23 lavoratori
che terminerà proprio il 9 giugno. “Non siamo in grado di mantenere i
livelli occupazionale e ahimè devo licenziare”, si giustifica Mannocchi.
Troppi soldi. Il sindaco Ignazio Marino vuole
liberarsi della zavorra cercando di uscire dalla Fiera di Roma perché
non la considera un asset strategico della Capitale. Davanti alle
telecamere de ilfattoquotidiano.it non ha voluto rispondere alle nostre domande. Il governatore Nicola Zingaretti (Pd) invece parla ai nostri microfoni di “grande pasticcio che dura da anni”, affermando di prendersi l’impegno con i lavoratori “Siamo persone serie, non mandiamo a casa nessuno”. Anche se rivendica di essere socio in piccola parte.
Riceviamo e pubblichiamo
La delibera da me proposta e approvata in giunta non ha carattere
finanziario ma di sostenibilità urbanistica, ed è finalizzata a
restituire a Roma e ai suoi cittadini una parte della città che, da un
decennio, versa nel degrado. La metà dei 7,3 ettari dell’ex Fiera sono
destinati ad attrezzature, servizi e verde per il Municipio 8, il
consiglio ha votato a favore della presente delibera. La quota destinata
all’edificazione, di 75.000 mq, è sensibilmente inferiore a quella
prevista dalla delibera della Giunta Alemanno, che prevedeva 91.300 mq,
ed è anche al di sotto delle previsioni della giunta Veltroni, 87.900
mq. La scelta della trasformazione e rigenerazione urbana compiuta dalla
giunta Marino è più difficile di quella dell’espansione edilizia perché
va ad incidere nella città abitata, ma è l’unica alternativa vera al
consumo del territorio.
Distinti saluti
Prof. Giovanni Caudo
Assessore alla Trasformazione e rigenerazione urbana di Roma
Assessore alla Trasformazione e rigenerazione urbana di Roma
Fonte: ilfattoquotidiano.it
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