Il libro nero del capitalismo (1998) (Parte 2)
Introduzione
“Il mondo dominato dal capitalismo è il mondo libero; il capitalismo, che ormai si chiama semplicemente liberalismo, rappresenta il mondo moderno. È il solo modello soddisfacente, se non ideale, di società. Non ne esiste e non ne esisterà mai un altro”. Questo è il coro unanime che intonano non soltanto i responsabili economici e la maggior parte dei responsabili politici, ma anche gli intellettuali e i giornalisti che hanno accesso ai principali media in campo audiovisivo, nella stampa, nella grande editoria, generalmente in mano a gruppi industriali o finanziari. Il pensiero dissenziente è stato non già proibito (liberalisme oblige!), bensì costretto in un regime di quasi clandestinità. Ecco la libertà di espressione della quale si compiacciono i sostenitori del nostro sistema liberale.
La principale virtù del capitalismo risiede nella sua efficienza economica. Ma a beneficio di chi? E a quale prezzo? Esaminiamo i fatti nei paesi occidentali, che sono la vetrina del capitalismo mentre il resto del mondo ne costituisce piuttosto il retrobottega. Dopo il grande periodo di espansione nel XIX secolo, dovuto all’industrializzazione e al feroce sfruttamento dei lavoratori, l’evoluzione così come si è determinata nel corso degli ultimi decenni ha portato alla quasi sparizione della piccola proprietà contadina, divorata dalle grandi aziende agricole, e ha prodotto tra le altre conseguenze l’inquinamento, la distruzione del paesaggio e il degrado della qualità dei prodotti (e questo a spese del contribuente poiché l’agricoltura ha continuato a ricevere sovvenzioni). Ha portato alla sparizione quasi completa del piccolo commerci al dettaglio, soprattutto a favore della grande distribuzione e degli ipermercati. Ha favorito inoltre la concentrazione delle industrie in grandi aziende, prima nazionali e poi sovranazionali, con proporzioni tali da superare talvolta la capacità finanziaria di intere nazioni. Queste aziende fanno la legge (o pretendono di farla), prendendo provvedimenti al di sopra degli stati per rafforzare il loro potere già privo di controlli. La United Fruit è “proprietaria” di diversi stati dell’America Latina.
I dirigenti capitalisti potevano temere che la sparizione della piccola proprietà contadina, dell’artigianato e della piccola borghesia industriale e commerciale facesse insorgere le file del proletariato. Ma il “modernismo” ha fugato i loro timori, con l’automazione, la miniaturizzazione, l’informatica. Dopo lo spopolamento dei campi, stiamo assistendo a quello di fabbriche e uffici. Siccome il capitalismo non sa e non vuole condividere profitto e lavoro (lo vediamo dalle reazioni indecenti e isteriche del padronato sulle “35 ore”, provvedimento per altro timidissimo), arriviamo ineluttabilmente alla disoccupazione e al suo strascico di disastri sociali.
Quanto più numerosi sono i disoccupati, tanto minori sono le indennità di disoccupazione e tanto meno durano. Quanto meno numerosi sono i lavoratori, tanto più si prevede di ridurre le pensioni. Sembra logico e ineluttabile. Ed è così, se ci si limita a ripartire l’onere della solidarietà solo sui salari. Ma se si prende in considerazione il prodotto nazionale lordo che è aumentato di più del 40% in meno di vent’anni, mentre la massa salariale ha continuato a diminuire, le cose vanno in tutt’altro modo! Ma questo non rientra nella logica capitalista!
Quasi venti milioni di disoccupati in Europa, ecco il bilancio positivo del capitalismo! E il peggio deve ancora venire. Le grandi imprese europee e statunitensi, i cui utili non sono mai stati così cospicui, annunciano licenziamenti in massa. Occorre “razionalizzare” la produzione: lo impone la concorrenza!
Ci si rallegra per l’aumento degli investimenti stranieri in Francia. Oltre ai pericoli per l’indipendenza nazionale, possiamo domandarci se non sia la diminuzione dei salari a incoraggiare gli investitori di capitali.
I cantori del liberalismo – del “modernismo” - (come il francese Alain Madelin) esaltano il Regno Unito e gli USA quali campioni del successo economico e della lotta contro la disoccupazione. L’abbattimento delle protezioni sociali, la precarietà dell’occupazione, i bassi salari e il taglio delle indennità ai disoccupati (che così spariscono dalle statistiche) saranno forse l’ideale del signor Madelin, ma non credo proprio che siano l’ideale dei lavoratori del suo paese.
Negli USA, il paradiso del capitalismo, 30 milioni di abitanti (più del 10% della popolazione) vivono sotto la soglia di povertà, e tra questi i neri rappresentano la maggioranza.
La supremazia degli USA nel mondo, la propagazione imperialista e uniformatrice del loro modello di vita e della loro cultura, possono soddisfare soltanto le menti umili e servili. l’Europa farebbe bene a stare all’erta e a reagire, finché ne ha la possibilità economica. Ma le occorrerebbe anche una volontà politica.
Per favorire gli investimenti produttivi, nell’industria o nei servizi, il capitalismo dichiara di volerli rendere concorrenziali rispetto agli investimenti finanziari e speculativi a breve termine. In che modo? Tassando questi ultimi? Niente affatto, abbassando i salari e gli oneri sociali! È anche un modo per rendere concorrenziale l’Occidente con il Terzo mondo. Del resto nel Regno Unito hanno ricominciato a far lavorare i bambini. Infatti, questo paese, per molti aspetti vassallo degli USA, non ha ratificato il trattato che vieta il lavoro minorile.
Preso nel circolo infernale della concorrenza, Il Terzo mondo dovrà abbassare ancora i costi e affondare ulteriormente i suoi abitanti nella miseria. Poi sarà nuovamente il turno dell’Occidente, e così via finché il mondo intero sarà nelle mani di pochi grandi gruppi sovranazionali, a maggioranza statunitense, e non si avrà quasi più bisogno dei lavoratori, ma solo di un’élite di tecnici. Allora per il capitalismo il problema sarà quello di trovare i consumatori, al di fuori di quest’élite e di quella degli azionisti, e sarà anche quello di tenere a bada la delinquenza che la miseria avrà portato.
l’accumulazione del denaro – che di per sé rappresenta soltanto un’idea astratta – impedisce la produzione di beni di investimento e di beni primari. Il libro nero del capitalismo sta già scritto davanti a noi, nel suo “paradiso”. Ma che ne è del suo inferno, il Terzo mondo? Le devastazioni compiute in un secolo e mezzo dal colonialismo e dal neocolonialismo non si possono calcolare, così come non si possono stimare i milioni di morti che gli sono imputabili. Ne sono colpevoli tutti i grandi paesi europei e gli USA. Schiavitù, repressioni spietate, torture, appropriazioni; furto di terre e risorse naturali da parte delle grandi compagnie occidentali, statunitensi o multinazionali, o dei potenti locali al loro soldo; creazione o smembramento artificiale di interi stati, imposizione di dittature; monocultura in sostituzione delle colture alimentari tradizionali; distruzione dei modelli di vita e delle civiltà ancestrali; deforestazione e desertificazione, disastri ecologici, carestia; cacciata delle popolazioni verso le megalopoli, dove sono in agguato la disoccupazione e la miseria.
Le strutture di cui si è dotata la comunità internazionale per regolare lo sviluppo delle industrie e del commercio sono interamente nelle mani e al servizio del capitalismo: la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’Organizzazione mondiale del commercio, e ora l’Accordo multilaterale sugli investimenti. Questi organismi sono serviti solo a indebitare i Paesi del terzo mondo e a imporre loro il credo liberale. Hanno permesso lo sviluppo di sfacciate fortune locali, ma non hanno fatto che accrescere la miseria delle popolazioni. (1)
Tra qualche decennio il capitalismo internazionale non avrà quasi più bisogno di manodopera. l’automazione incombe! I laboratori statunitensi studiano le colture in vitro che distruggeranno definitivamente il Terzo mondo agricolo (e forse la stessa agricoltura francese, la seconda nel mondo per le esportazioni). Non saranno i beni ciò che i lavoratori di tutto il mondo finiranno per spartirsi, ma la disoccupazione. (2)
Servizi essenziali, quali l’istruzione, la sanità, l’ambiente, la cultura, la mutua assistenza, non saranno più assicurati perché non genereranno profitti e non interesseranno il settore privato. Resteranno a carico degli stati o delle comunità locali, cui il liberalismo vuole togliere ogni potere e ogni mezzo economico.
Quali sono i mezzi di espansione e di accumulazione del capitalismo? La guerra (o la protezione, sull’esempio della mafia), la repressione, la spoliazione, lo sfruttamento, l’usura, la corruzione, la propaganda. La guerra contro i paesi ribelli che non rispettano gli interessi occidentali. Quello che una volta fu appannaggio del Regno Unito e della Francia, in Africa e in Asia (gli ultimi soprassalti del colonialismo nelle Indie, nel Madagascar, in Indocina, in Algeria, hanno fatto milioni di morti), è oggi appannaggio degli USA, il paese che pretende di comandare il mondo. Gli USA, proprio per questo, non hanno mai smesso di praticare una politica di eccesso di armamenti (che pure vietano agli altri). Abbiamo visto in azione questo imperialismo in tutti gli interventi diretti o indiretti degli USA in America Latina, e particolarmente in America centrale (Nicaragua, Guatemala, Salvador, Honduras, Grenada), in Asia, in Vietnam, in Indonesia, a Timor (genocidio più esteso, in proporzione, di quello dei khmer rossi in Cambogia – circa due terzi della popolazione – e perpetrato con l’indifferenza se non con la complicità dell’Occidente), nella guerra del Golfo, ecc. (3)
La guerra non si fa soltanto con le armi, ma può assumere forme inedite: per esempio, gli USA non hanno esitato a sostenere la setta Moon in Corea nella lotta contro il comunismo, come anche i fascisti nell’Italia del dopoguerra, e non hanno esitato ad armare e sovvenzionare gli integralisti islamici (i Fratelli Musulmani e i talebani in Afghanistan). La guerra può anche prendere la forma delle sanzioni contro altri stati indocili (Cuba, Libia, Iraq), tanto onerose per le popolazioni (parecchie centinaia di migliaia, addirittura milioni di morti in Iraq).
La spoliazione è la causa evidente del ricorso alla forza. Se si vuole svaligiare una casa in presenza dei suoi abitanti, è meglio possedere un’arma.
Le pratiche del capitalismo sono molto simili a quelle della mafia, ecco perché quest’ultima prolifera così bene nel suo humus.
Come la mafia, il capitalismo protegge i dirigenti docili che lasciano sfruttare spudoratamente il proprio paese dai grandi gruppi americani o sovranazionali. In tal modo, quando non le introduce esso stesso, consolida le dittature (tanto più efficaci delle democrazie nel proteggere i beni e gli interessi delle imprese).
Le sue armi sono indifferentemente la democrazia o la dittatura, il commercio o il gangsterismo, l’intimidazione o l’omicidio. Così la CIA è probabilmente da considerarsi la più grande organizzazione criminale su scala mondiale.
Altra pratica mafiosa è l’usura: come la mafia presta denaro al commerciante che non potrà mai liberarsi dal suo debito e finirà per perdere la sua bottega (o la vita), così si inducono i paesi a investire, spesso artificiosamente, e ad acquistare armi per la lotta contro gli stati indocili. Essi dovranno poi rimborsare gli interessi accumulati dal debito e i creditori diventeranno facilmente i padroni della loro economia.
Repressione e sfruttamento procedono di pari passo: repressione antisindacale (che una volta era legale e attualmente non è confessata, ma costantemente esercitata), sorveglianza repressiva, milizie padronali criminali (4), sindacati “gialli” (sostenuti dal padronato) e repressione contro ogni contestazione operai radicale (5). La possibilità di sfruttare impone questo costo. E sappiamo, da Marx, che lo sfruttamento del lavoro è il motore del capitalismo. Le economie occidentali sottopongono il Terzo mondo alle peggiori forme di sfruttamento: la schiavitù e, al loro stesso interno, l’asservimento degli immigrati clandestini.
La corruzione: le multinazionali dispongono di tale potere di influenza, anche finanziaria e politica, sul complesso dei dirigenti pubblici e privati che soffoca qualsiasi resistenza. La propaganda: per imporre il suo credo e giustificare l’eccesso di armamenti, gli atti delittuosi e i crimini sanguinosi, il capitalismo invoca sempre concetti generali: difesa della democrazia, della libertà, lotta contro la dittatura “comunista”, difesa dei valori dell’Occidente, mentre il più delle volte non difende altro che gli interessi di una classe possidente, che vuole impadronirsi di materie prime, dettar legge sulla produzione di petrolio o controllare luoghi strategici. Questa propaganda è diffusa da governanti economici e politici, da una stampa e da media asserviti. Sono i “cani da guardia” già denunciati da Nizan. Ed è il “tradimento dei chierici” contro il quale si scaglia Julien Benda. (6)
Assertori del liberalismo, lodatori degli USA, dico a voi! Non ho udito la vostra voce contro la distruzione del Vietnam, né contro il genocidio indonesiano, né contro le atrocità perpetrate in nome del liberismo in America Latina; non l’ho udita neppure contro l’appoggio statunitense al colpo di stato di Pinochet, uno dei più sanguinosi della storia (7), né contro la condanna a morte dei sindacalisti turchi. La vostra indignazione è stata alquanto selettiva: Solidarnos’c’ ma non il Disk, Budapest ma non l’Algeria, Praga ma non Santiago, l’Afghanistan ma non il Timor. Non vi ho visto indignarvi quando uccidevano comunisti o semplicemente persone che volevano dare il potere al popolo, o difendere i poveri. E non vi odo chiedere perdono per la vostra palese complicità e per il vostro silenzio.
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Note
1. Paraire, Le village monde et son chateau, 1995
2. J. Rifkin, La fine del lavoro, 1996
3. N. Chomsky, I cortili dello zio Sam. Gli obiettivi della politica estera americana dal vecchio al nuovo ordine mondiale, 1995
4. M. Caille, Les truands du patronat, 1977
5. M. Rajsfus, La police hors la loi, 1996
6. S. Halimi, Les noveaux chiens de garde, 1997
7. Chili, Le dossier noir, 1974
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