La chimica al computer

Marco De Vivo ha ricevuto un prestigioso premio dell’American Chemical Society per le sue ricerche sul DNA effettuate con calcolatori superpotenti.

Immaginate di sedervi davanti a uno schermo e assistere a una visione davvero speciale: la dinamica di assemblaggio della doppia elica del DNA, come un film della vita a livello molecolare che scorre davanti ai vostri occhi. È un po’ lo spettacolo di cui gode Marco De Vivo, insieme ai suoi ricercatori all’Istituto italiano di Tecnologia di Genova, grazie alle capacità di calcolo dei supercomputer che stanno spingendo avanti la ricerca di nuove terapie farmacologiche. Un risultato che gli è valso anche il premio OpenEye Outstanding Junior Faculty Award della American Chemicla Society, che gli verrà consegnato alla conferenza annuale della ACS in programma ad aprile a San Francisco.

Intervista a Marco De Vivo.

In una ricerca pubblicata la scorsa estate avete descritto la dinamica del meccanismo che regola questo assemblaggio dei mattoni della vita. Di cosa si tratta?
È il risultato di una serie di studi su come gli acidi nucleici, DNA e RNA, vengono regolati dagli enzimi. Grazie alle simulazioni al computer abbiamo “visto” come funziona l’allungamento del filamento di materiale genetico, cioè la polimerizzazione, la replicazione e l’assemblaggio dei nucleotidi, i mattoni alla base della vita. Abbiamo denominato questo meccanismo SAM, da Self-Activated Mechanism, perché è una reazione che si autosostiene, in una sorta di movimento perpetuo. A oggi è la migliore spiegazione che abbiamo di molti dati sperimentali raccolti finora, ma naturalmente continuerà a essere sottoposta ad altre verifiche in futuro.

Un ingranaggio cruciale della macchina della vita, che in alcuni casi può incepparsi.
Poiché questi meccanismi di replicazione sono i protagonisti anche di processi degenerativi come il cancro, le cellule tumorali sono la più immediata applicazione possibile di queste conoscenze. Comprendere un meccanismo essenziale come SAM ci dà la possibilità di capire dove potremmo infilare il bastone per bloccare la macchina e inibire la replicazione controllata delle cellule. Si tratta di conoscenze fondamentali anche nell’ottica dello sviluppo di terapie personalizzate, per capire il modo in cui il genoma di ogni individuo risponde in maniera diversa all’azione di un farmaco.

Quali vantaggi dà l’uso della chimica computazionale rispetto alla chimica tradizionale fatta in laboratorio?
Con gli esperimenti di laboratorio possiamo ottenere solo prove indirette, oppure nei casi più fortunati, usando per esempio tecniche di cristallografia, immagini statiche del processo in diversi punti. Fare chimica computazionale significa invece disporre di una potente lente di ingrandimento che permette di seguire in modo dettagliato e nel corso del tempo la dinamica di un processo chimico. Con i supercomputer arriviamo a simulare processi che avvengono alle dimensioni dei nanometri, per durare dei picosecondi (un miliardesimo di miliardesimo di secondo) ai microsecondi.. un sistema tipico oggetto dei nostri studi è un frammento di DNA, equivalente a 200.000-300.000 atomi, di cui vediamo lo sviluppo per qualche decina di microsecondi, in qualche caso fino al millisecondo, usando la fisica classica. Oppure possiamo applicare anche la fisica quantistica: in quest’ultimo caso serve però una maggiore potenza di calcolo per studiare sistemi più ridotti, poche centinaia di atomi simulati per qualche centinaio di picosecondi. Per la ricerca che ci ha portato a descrivere SAM è stato usato un supercomputer in Germania, ma abbiamo attiva anche una collaborazione con il CINECA a Bologna, dove si sta mettendo a punto il nuovo supercomputer Marconi, che sarà uno tra i più potenti al mondo.

Lavorare con modelli virtuali al computer invece che al bancone del laboratorio ha cambiato anche il modo di pensare di un chimico?
Il lavoro puramente sperimentale si basava più sull’esperienza o sull’intuito del chimico. Oggi con la chimica computazionale disegniamo le molecole come un architetto progetta una casa, dalle fondamenta al tetto, testandone prima al computer in modo approfondito il comportamento, e solo successivamente arrivando a sintetizzarle in laboratorio. È un approccio che sta rivoluzionando la scoperta di nuovi farmaci: se prima si procedeva per tentativi in laboratorio, oggi tutte le grandi aziende farmaceutiche hanno un gruppo di chimica computazionale che fa lo screening delle molecole per selezionare quelle più promettenti. Questo implica che riusciremo a ridurre significativamente tempi e costi dello sviluppo di nuovi farmaci, per i quali finora servivano in media 10-12 anni e investimenti per circa 1,5 miliardi di euro. In un progetto del mio gruppo finanziato da AIRC abbiamo selezionato con il virtual screening alcuni composti che stiamo brevettando, perché capaci di bloccare la funzione di una proteina coinvolta nello sviluppo del melanoma.

Le simulazioni al computer, anche se supportate da potenze di calcolo sempre crescenti, rimangono però modelli semplificati della realtà. Quali sono le implicazioni di questo limite?
Le variabili nei sistemi reali sono moltissime e complesse. Per questo, pensare di simulare quello che accade all’interno di una cellula è più complicato che progettare un aereo, ma ci arriveremo. Dovremo essere capaci di predire il comportamento di sistemi più grandi di un piccolo frammento di DNA come riusciamo a fare oggi, e simulati per un tempo più lungo. La chimica computazionale è cresciuta molto negli ultimi venti anni. Nel 2000 mi è servito un intero anno di lavoro al computer per produrre le simulazioni al centro della mia tesi, mentre oggi lo stesso risultato lo potrei ottenere in qualche giorno. Ci tengo comunque a sottolineare che il lavoro del chimico computazionale non può prescindere da una stretta sinergia con i chimici da laboratorio.

Lei è il primo ricercatore che lavora in un’istituzione italiana a ricevere questo premio della ACS. È positivo dunque il bilancio sulla sua scelta di tornare a far ricerca in Italia dopo l’esperienza negli Stati Uniti?
Per me gli anni trascorsi all’estero sono stati essenziali, acquisisci il know-how e il network di relazioni che saranno decisivi per la prosecuzione della tua carriera scientifica. L’Istituto Italiano di Tecnologia è un’isola felice nel nostro paese, perché è un ambiente estremamente competitivo a livello internazionale, anche con i laboratori più avanzati del mio settore negli Stati Uniti.

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Chi è Marco De Vivo?
Marco De Vivo, originario di Rimini, dirige il laboratorio di Molecular Modeling and Drug Discovery all’Istituto Italiano di Tecnologia, dove è arrivato nel 2009, dopo oltre 5 anni di ricerca negli Stati Uniti. Laureato in chimica e dottorato in chimica farmaceutica all’Università di Bologna, De Vivo ha lavorato due annii alla Scuola internazionale superiore di studi avanzati (SISSA) di Trieste e sei mesi al Politecnico federale (ETH) di Zurigo, per poi raggiungere nel 2004 il laboratorio di Michael L. Klein all’Università della Pennsylvania a Philadelphia. Nel 2007 prosegue l’attività di ricerca alla Rib-X Pharmaceuticals, azienda spin-off della Yale University, che ha tra i fondatori il premio Nobel per la chimica Thomas Steitz e William Jorgensen. Dal 2015 De Vivo è anche Research Associate dell’Istituto di biomedicina computazionale al Forschungszentrum di Julich, in Germania.


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