Riciclare per crescere

Un gene fornisce un’interpretazione interessante per l’evoluzione cerebrale umana


Il segreto della nostra intelligenza? Il riciclaggio creativo. Alla fine degli anni settanta del secolo scorso, il Nobel François Jacob lo aveva previsto in alcune memorabili conferenze sull’evoluzione come bricolage. A suo avviso, la formazione in Homo sapiens di una neocorteccia dominante che interagisce con un sistema nervoso e ormonale evolutivamente più antico, rimasto in parte autonomo e in parte sottoposto alla tutela della neocorteccia, somigliava a un accrocco.

Quarant’anni dopo scopriamo che questo rimodellamento ha avuto una precisa base genetica, che si manifesta in tutta la sua unicità nel corso della crescita di ciascuno di noi. Quello che infatti contraddistingue il cervello umano è la sua lenta maturazione per quasi due decenni dopo la nascita. Homo sapiens è un mammifero più neotenico degli altri, cioè trattiene i caratteri giovanili per un prolungato periodo di crescita. L’infanzia e l’adolescenza sono il nostro grande patrimonio evolutivo. Ne consegue che la cognizione umana è particolarmente dipendente dall’apprendimento esperenziale. I circuiti neurali nel corso dello sviluppo subiscono cambiamenti strutturali e funzionali. Sono letteralmente scolpiti dalle esperienze che facciamo.

Nel corso della crescita, questi cambiamenti nel cervello sono mediati da geni la cui trascrizione è regolata dall’attività neuronale stessa. Sono i geni che rendono il nostro cervello un capolavoro di plasticità. Recentemente il gruppo di neurobiologi coordinati da Michael Greenberg alla Harvard Medical School ha pubblicato su Nature alcuni risultati sperimentali che suggeriscono un’interpretazione molto interessante delle basi genetiche dell’evoluzione celebrale umana. I ricercatori hanno messo in coltura neuroni umani e di topo, confrontando le loro reazioni a una stimolazione che simulava un’accresciuta attività neurale. Hanno così osservato quali geni nelle due colture in vitro venivano maggiormente sollecitati dall’attività neurale eccitata.

Molti geni, soprattutto quelli che reagiscono subito alla stimolazione, sono gli stessi nelle due specie, come previsto. Uno in particolare invece, che si attiva dopo e interessa quasi soltanto la neocorteccia, mostra una differenza cruciale: è il gene dell’osteocrina, noto per il suo ruolo essenziale nella crescita delle ossa e nel funzionamento dei muscoli nei vertebrati. l’espressione di questo gene non è presente nel cervello del topo e non viene indotta dalle stimolazioni nelle colture neurali du topo. Fa il suo lavoro nelle ossa e nei muscoli, ma nulla nel cervello del roditore. Nelle colture neurali umane al contrario è fortemente espresso nella neocorteccia, e sopratutto nei neuroni maturi della corteccia in fase di sviluppo.

Che ci sta a fare un gene deputato a ossa e muscoli nel bel mezzo della parte del cervello coinvolta nelle funzioni cognitive più complesse, tra cui pensiero e linguaggio? I ricercatori sono andati fino in fondo e hanno scoperto i cambiamenti genetici che permettono all’osteocrina di attivarsi nel cervello dei primati più simili a noi, ma non in quello di altri mammiferi. Attraverso poche mutazioni nelle regioni promotrici (ora individuate una a una, ennesimo esempio ormai di prova diretta delle basi genetiche di un adattamento), il gene nel corso dell’evoluzione ha subito uno switch, una commutazione funzionale: dalle ossa è stato riutilizzato, o riciclato, per regolare la forma dei dendridi, per promuovere l’allungamento degli assoni e per favorire altri cambiamenti strutturali che i neuroni subiscono durante il periodo di apprendimento.

Dunque l’evoluzione della nostra fitta rete neurale, così pronta a farsi plasmare dalle esperienze vissute, è dipesa anche da un exaptation genetico, cioè una cooptazione funzionale.

Del resto, non è più economico ingaggiare quello che già c’è, e fargli fare qualcosa di nuovo, piuttosto che ripartire da zero?


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