Il business del traffico di essere umani. I guadagni sono così alti che si può "buttare" una intera nave

I conti si fanno facilmente: ciascun passeggero delle navi allestite dai trafficanti di essere umani paga dai 4000 ai 7000 dollari per il suo viaggio verso l'Europa. Se si attribuisce un valore medio di 5000 dollari a passeggero e, per esempio, si moltiplica questa cifra per il numero dei migranti che sabato scorso sono giunti nel porto calabrese di Corigliano a bordo del cargo Ezadeen (360 in tutto: 232 uomini, 54 donne e 74 minori) si arriva a una cifra attorno al milione e ottocentomila dollari
 
Ma ammettiamo che (come in effetti spesso accade) i passeggeri più giovani non paghino il “biglietto”. Restiamo comunque attorno al milione e mezzo di dollari. Bene, se consideriamo che imbarcazioni come il cargo Ezadeen possono essere acquistate per cifre che vanno dai 200mila ai 300mila dollari, abbiamo una spiegazione semplicissima, una spiegazione aritmetica, del perché sia così difficile, praticamente impossibile, bloccare i flussi migratori organizzati in modo illegale: i profitti sono enormi. E i trafficanti dispongono di una liquidità tale da poter facilmente corrompere le polizie di molti dei Paesi di partenza.
 
Fulvio Vassallo Paleologo, docente di Diritto di asilo all'Università di Palermo, non ha dubbi sul fatto che la “pista economica” sia decisiva nelle indagini sul traffico di esseri umani. E che – per una serie di ragioni anche indipendenti dalla volontà degli investigatori, come la difficoltà nelle rogatorie – sia scarsamente studiata. Di certo, a fronte dell'arresto di migliaia di scafisti e di comandanti di navi, non si ha notizia del coinvolgimento di armatori: beneficiano largamente di questo sistema – che moltiplica il valore di imbarcazioni in disarmo - senza, però, mai sporcarsi le mani.
 
Nelle ultime settimane sono stati già registrati, oltre a quello del cargo Ezadeen, altri due casi di navi abbandonate dai piloti. Questo fenomeno delle “navi a perdere”, ha sottolineato la portavoce dell'Unhcr Carlotta Sami, rivela che – dopo la sostanziale chiusura della “via libica” all'Europa – i trafficanti hanno subito individuato una nuova tecnica. Ed è questa la regola. Perché la risposta delle organizzazioni dei trafficanti all'aumento dei controlli di polizia, ai cambiamenti politici nei Paesi di partenza, al modificarsi della domanda in relazione alle nuove crisi internazionali, arriva in tempi molto rapidi. Come, d'altra parte, succede in tutti i più efficienti comparti economici.
 
La storia dell'evoluzione delle tecniche del traffico di essere umani verso l'Italia e l'Europa comincia all'inizio degli anni Novanta con la cosiddetta “invasione albanese”. Ed è fin da allora che prendono forma le due modalità fondamentali che si sono alternate fino a oggi. Nella prima fase – quando l'organizzazione statale a Tirana era ancora funzionante ed esisteva un controllo di polizia sui porti – i viaggi erano organizzati da “scafisti privati” che, con imbarcazioni piccole e veloci, svolgevano una sorta di servizio di navetta per numeri limitati di persone. Le sbarcavano in luoghi poco sorvegliati della costa pugliese e tornavano alla base. Quando lo Stato si dissolse, arrivò la fase delle grandi navi. Come la “Vlora” che, dopo il crollo del regime di Enver Hoxha, il 7 agosto 1991 fu presa d'assalto nel porto di Durazzo da ventimila persone che costrinsero il comandante a far rotta verso l'Italia e il giorno dopo approdarono nel porto di Bari. Una vicenda entrata ormai nella storia e celebrata da film e libri.
 
L'uso di navi grandi – che richiedono alla partenza e all'arrivo “veri” porti – è possibile solo in presenza di eccezionali eventi rivoluzionari (come accadde in Albania) o della connivenza delle autorità di controllo, almeno nei porti di partenza. E' infatti da escludere che centinaia di migranti si imbarchino senza che la polizia portuale se ne accorga. “Non è un caso – sottolinea Vassallo Paleologo – che la cosiddetta “rotta egiziana” sia stata interrotta nel 2001 quando, dopo un accordo di collaborazione tra Italia ed Egitto, furono effettuati controlli puntuali sul Canale di Suez”.
 
Il tonnellaggio del mezzo utilizzato determina modalità organizzative diverse per gli arrivi. Per quanto il guadagno sia garantito comunque, la modalità della “nave a perdere”, infatti, è utilizzata mal volentieri dai trafficanti. I quali spesso adottano soluzioni “intermedie”, come quella di allontanare - quando la navigazione è in corso - quasi tutti l'equipaggio (che torna a terra con una lancia o un gommone) lasciando solo a bordo un paio di figure esperte che sono in grado di governare la nave il minimo necessario per evitare che vada a sfracellarsi in qualche scogliera e poi, appena arrivano i soccorritori, tentano di confondersi tra i passeggeri. Una modalità, però, che presenta vari rischi. Accresciuti di recente dall'individuazione dall'alto, attraverso gli elicotteri, di quanti governano la nave.
 
Altra soluzione tecnica molto in voga negli anni Novanta e ripristinata di recente è quella definita “nave grande/nave piccola”. Prevede che la “nave grande” venga affiancata in acque internazionali da una barca abbastanza piccola da poter fare a meno di un porto. E che questa barca, in più viaggi, porti a destinazione, cioè sulla costa italiana, i passeggeri. Una tecnica che fu alla base, nel 1996, del catastrofico “naufragio di Natale” avvenuto a largo di Portopalo di Capo Passero quando la “nave piccola” affondò e morirono quasi trecento migranti.
 
A determinare l'interruzione di quella modalità non fu tanto la tragedia di Natale quanto lo spostamento del flusso migratorio verso l'Africa e l'avvio della cosiddetta “rotta di Lampedusa”. Anche qua la dimensione delle navi utilizzate è stata proporzionale al livello di integrità dello Stato di partenza e dunque dei controlli nei porti. Dalla Libia, al tempo del regime di Gheddafi, partivano soprattutto piccole imbarcazioni. Nel 2006 fu segnalato lo strano fenomeno degli scafi in vetroresina tutti uguali e dotati dello stesso modello di motore, come se fossero stati prodotti in serie, che raggiungevano la costa siciliana o maltese (ma alcuni furono trovati vuoti e rovesciati). Potevano ospitare una ventina di passeggeri che pagavano circa 2000 dollari ed erano “a perdere”. Ma il “biglietto” pagato da due soli passeggeri (circa 4000 dollari) era sufficiente a ripagare il costo dell'imbarcazione. Tutto il resto era guadagno.
 
 
 
 
 
Fonte: notizie.tiscali.it

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