Terrorismo è repressione
Nuovo
attacco del Califfato a Kobane, contemporaneamente attacchi in Tunisia e
in Francia e in Kuwait, in una moschea sciita. I primi tre rivendicati
dall'IS, l'ultimo ancora senza rivendicazione ma in cui tutto, scelta
dell'obiettivo e sincronicità, fa pensare che si ricollegabile ai primi.
L'attacco
dell'IS nel Kurdistan siriano appare come ampiamente agevolato dallo
stato turco: la direttrice dell'attacco proviene dal confine turco, gli
attaccanti indossavano divise militari, noto e documentato è l'appoggio
del regime di Erdogan all'IS, sia in funzione anti-curda che in funzione
anti-Assad.
Due settimane fa Erdogan aveva preso un
grosso smacco alle elezioni politiche, perdendo la maggioranza assoluta,
a causa dell'avanzata elettorale dei partiti dell'opposizione di
sinistra curda. Due settimane dopo Kobane, la città di confine diventata
simbolo del contrattacco contro la barbarie degli islamisti e dei loro
sponsor del Golfo e della Turchia, subisce un grave attacco terroristico
che lascia sul campo decine di morti tra i civili. Della serie: dove
non basta la democrazia rappresentativa per reprimere ci sono le azioni
militari e il terrorismo di Stato.
E laddove anche il
terrorismo per terza persona fallisce c'è sempre l'opzione
dell'intervento militare diretto. Mentre scriviamo questo pezzo (lunedì
29 giugno) ci giungono numerose voci di un possibile intervento
dell'esercito turco nel nord della Siria e di manovre al confine.
Difficile dire se siano grandi manovre con lo scopo di minacciare o se
si prepari un intervento vero e proprio, che rischia di essere la
classica scintilla nella polveriera dato il legame tra l'Iran e il
regime di Assad.
L'IS nel nord della Siria, negli
ultimi mesi, ha perso terreno: dopo la batosta presa in gennaio a Kobane
ha spostato il fronte principale sull'Iraq, completamente incapace di
resistere all'azione di sfondamento del califfato e a ovest verso il
litorale siriano. Altra grave sconfitta per il califfato è stata la
perdita della cittadina di Tal Abyad, presa dalle milizie YPG e dai loro
alleati, che ha permesso l'unificazione territoriale dei cantoni
confederalisti-democratici del Kurdistan siriano e, non secondariamente,
di interrompere la continuità territoriale tra il territorio del
califfato e il confine turco ovvero di rendere più difficoltosi i
rifornimenti logistici e di uomini per la cricca di Al Baghdadi.
Confine, quello turco-siriano, che rimane blindato per i profughi
siriani ma non per gli islamisti che possono passare con la compiacenza
di esercito e governo di Ankara.
L'autunno scorso
l'insurrezione del Kurdistan turco, la mobilitazione solidale di decine
di migliaia di altre persone nel resto della Turchia, l'azione
internazionale di migliaia di compagni in tutto il mondo, l'azione
diretta e la pressione della comunità internazionale, anche da parte di
attori istituzionali, avevano costretto il governo Erdogan ad aprire le
frontiere per i profughi di Kobane e a tenere il naso lontano, o almeno
non dentro, allo scontro che avveniva a Kobane. Una lezione preziosa di
cui non bisogna affatto perdere memoria.
In Tunisia, al
contempo, attacchi contro i centri turistici sulla costa: evidente lo
scopo di affossare la stagione turistica e di danneggiare così
economicamente il tessuto sociale della zona. È la stessa strategia
adottata nel Magreb da Al Quaeda un decennio fa, il tentativo di rendere
i paesi a maggioranza islamici impermeabili a turismo e influssi
europei. Ma la primavera araba, che in Tunisia, al contrario della Libia
e dell'Egitto, ha avuto uno sbocco “laico” e
democratico-rappresentativo, ha nei fatti dimostrato il fallimento di
quella strategia. Quanto ci vorrà agli islamisti militanti per
accorgersene e per cambiare strategia?
In Francia la
sincronicità dell'attacco a un impianto energetico, con un solo morto
causato dall'attentatore, subito abbattuto dalle forze di sicurezza
presenti sul posto, sincronico rispetto alla ridda di attentati in
Medioriente dimostra che l'IS ha ancora “cellule dormienti” in Francia
ma anche che la capacità di azione militare i queste cellule è ridicola:
dai morti di inizio anno a Parigi, con l'intera Ile-de-France in stato
d'assedio per tre giorni, a un morto sgozzato. La differenza
quantitativa e qualitativa è notevole.
E poi il Kuwait:
ennesimo atto della guerra, più o meno carsica, interislamica tra
sciismo e sunnismo, la mosche attaccata era una moschea sciita in un
paese a maggioranza sunnita dove, come negli altri stati del Golfo, la
minoranza sciita è schiacciata sotto il tallone di ferro delle monarchie
sunnite. E la guerra interislamica in realtà è il vero dato degli
ultimi quindici anni di terrorismo islamista che risponde ad una logica
interna al mondo musulmano, quella logica di guerra tra le
petromonarchie del Golfo, sunnite, e la petrorepubblica islamica
Iraniana, sciita. E intanto mentre le ragioni della politica statale
trionfano, gli uomini e le donne continuano a morire, macellati da
eserciti di stati occidentali: arabi, turchi e iraniani e dalle loro
propaggini paraistituzionali.
In questo non possiamo
che guardare con favore, pur non risparmiando là dove necessario
osservazioni critiche, a chi, sul confine turco-siriano è riuscito a
costruire dei processi di democrazia diretta e autogestione che mettono
in crisi la tirannide e la barbarie statalista, capitalista e religiosa.
E
non possiamo che rafforzarci nella nostra volontà di costruire anche
qua nei paesi occidentali una società altra, internazionalista,
solidale, secolarista, anarchica, per scardinare quei dispositivi
politici, sociali, religiosi ed economici, che qua come altrove creano
devastazione, miseria e lutti.
Perché il nemico è in
casa nostra: e non è chi arriva su di un barcone o sotto il pianale di
un camion, fuggito dalle guerre che gli stati occidentali hanno
contribuito a creare, ma bensì è chi campa dell'altrui sfruttamento.
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