Prepararsi al sisma
Oggi la prevenzione è l’unico strumento che abbiamo
Da quel 24 agosto 2016 in cui all’improvviso, un’altra volta, l’Italia centrale ha cominciato a tremare, è trascorso quasi un anno. Senza preavviso, questa volta, a differenza di quanto era accaduto all’Aquila sette anni prima, una scossa di magnitudo 6.0 ha lacerato la notte di Accumoli, Amatrice e tanti altri centri del reatino, provocando trecento vittime.
Da allora, oltre alle altre violente scosse del 26 e del 30 ottobre, e del 18 gennaio di quest’anno, i sismografi hanno registrato decine di migliaia di aftershock, che nei primi giorni si susseguivano al ritmo di diverse centinaia al giorno: uno ogni pochi minuti. Le scosse successive hanno provocato solo tre vittime indirette, persone morte per infarto, ma la sequenza sismica che dura ormai da un anno ha messo in ginocchio cittadine e borghi, da Castelsantangelo sul Nera a Visso, da Ussita a Norcia, a Castelluccio.
Dei problemi della ricostruzione già sappiamo. Ne parlano le cronache, e presumibilmente ne parleranno ancora a lungo, tra ritardi, scarsi finanziamenti e paradossali ostacoli burocratici. Peggio ancora se si pensa che un mese fa, all’inizio di luglio, Confindustria denunciava il blocco di centinaia di cantieri della ricostruzione post sisma a causa della lentezza nello sbrigare le pratiche; non i cantieri di questo sisma, quelli dell’Aquila.
Dal punto di vista scientifico, la sequenza sismica iniziata il 24 agosto e ancora in corso (anche se gli eventi stanno riducendosi in numero e in intensità) pone ancora molti interrogativi. Soprattutto per la complessità degli eventi e del sottosuolo, in cui ci sono attivate diverse faglie. Ce lo raccontano Alessandro Amato e Daniela Pantosti, dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, nel servizio di copertina di questo numero.
Amato e Pantosti si soffermano anche sulla diversità dei danno subiti da Amatrice e Norcia, sebbene la scossa del 30 ottobre con epicentro a Norcia sia stata di magnitudo maggiore. A differenza di Amatrice, sottolineano gli autori, il Comune umbro aveva subito danni rilevanti da terremoti piuttosto recenti, l’ultimo nel 1979. E in qualche modo è arrivato preparato al sisma del 2016. Ad Amatrice, invece, gli eventi distruttivi più recenti risalivano al Settecento, e le modalità costruttive adottate non erano adeguate.
Così, ancora una volta, le lezione che dovremmo imparare dall’ennesima tragedia nazionale è che il primo e per ora l’unico strumento di cui disponiamo per limitare i danni di sismi catastrofici è la prevenzione: ridurre la vulnerabilità degli edifici. Lo abbiamo detto dopo l’Aquila, e ancora dopo l’Emilia, e non ci stancheremo di ripeterlo.
L’Italia è un paese a elevato rischio sismico, dal 1770 a oggi si è verificato un terremoto di magnitudo 6 o superiore in media ogni sette anni. Per arginarne le conseguenze dobbiamo mettere in sicurezza il nostro patrimonio edilizio. Sistematicamente, e in tutte le aree a rischio. Possibilmente prima di dover seppellire altre centinaia di morti.
Fonte: rivista Le Scienze 588 (Agosto 2017)
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