Vaccini: il decreto legge è fuorilegge

Mai nessuna autorità governativa tricolore aveva osato tanto per infliggere del male ai minori in Italia e beneficiare spudoratamente una multinazionale. In punta di diritto costituzionale è una norma del governo che entra immediatamente in vigore e che oltrepassa in prima battuta la discussione parlamentare. Il 19 maggio scorso il consiglio dei ministri ha approvato il famigerato decreto legge 73, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 giugno ma trasmesso al Senato l’indomani. In una democrazia compiuta l’iniziativa legislativa spetta al Parlamento. Il governo può fare una legge solo se esistono i presupposti della straordinaria necessità e dell’urgenza. Quando sussistono i motivi di straordinaria necessità e di urgenza per un decreto legge sui vaccini? Ma quando si manifesta con virulenza un’epidemia. L’organizzazione mondale della sanità, però non lo attesta. Una burionata? Non c'è un emergenza ma un colpo di Stato sia pure casalingo: Mattarella, Gentiloni, Lorenzin e l'intero governo hanno mentito alla nazione. Come si può attentare alla vita di neonati, bambini e adolescenti?
  
Un decreto-legge nell'ordinamento giuridico italiano, è un atto normativo di carattere provvisorio avente forza di legge, adottato in casi straordinari di necessità e urgenza dal Governo, ai sensi degli articoli 76 e 77 della Costituzione della Repubblica Italiana. Entra in vigore immediatamente dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, ma gli effetti prodotti sono provvisori, perché i decreti-legge perdono efficacia se il Parlamento non li converte in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. È inoltre regolato ai sensi dell'articolo 15 della legge 23 agosto 1988, numero 400.  Il decreto-legge sarebbe di per sé illegittimo, in quanto nato extra ordinem, ossia in deroga alla riserva della potestà legislativa alle Camere ex articolo 70 Costituzione, ed al disposto sui cosiddetti "decreti delegati" (articolo 77 comma 1 Costituzione). Tale deroga sarebbe giustificata da motivi di necessità ed urgenza, ed in questo senso sarebbe pienamente comprensibile la necessaria conversione del decreto-legge in legge, pena una vera e propria inesistenza giuridica dell'atto. Inoltre, in quest'ottica sarebbe giustificata la particolare disposizione dell'articolo 77 comma 2 Costituzione, che prevede che il Governo adotti il decreto "sotto la sua responsabilità".  

Il decreto-legge deve essere deliberato dal Consiglio dei ministri, emanato dal Presidente della Repubblica e immediatamente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Il giorno stesso della pubblicazione, esso deve essere presentato alle Camere, che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro 5 giorni. Presentato il decreto-legge, il Governo chiede al Parlamento di produrre la legge di conversione, per cui il decreto-legge viene presentato come allegato di un disegno di legge. Il procedimento di conversione presenta, rispetto al procedimento legislativo ordinario, alcune variazioni, introdotte nei regolamenti parlamentari. In parte esse sono dettate dall'esigenza di assicurare in tempi certi e brevi l'approvazione del disegno di legge, in parte dall'esigenza di consentire alle Camere di svolgere un controllo attento sulla sussistenza dei presupposti della necessità e urgenza. In particolare l'articolo 72 della costituzione, al terzo comma, consente ai regolamenti parlamentari di stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione dei disegni di legge siano deferibili ad apposite Commissioni. I meccanismi apprestati dalla Camera e dal Senato sono venuti differenziandosi. Il regolamento del Senato prevede ancora il parere obbligatorio espresso preliminarmente dalla Commissione Affari Costituzionali sulla sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza. Alla Camera invece è stato tolto il parere preventivo della Commissione Affari Costituzionali, seguendo un filtro più complesso: innanzitutto, nella relazione del Governo che accompagna il disegno di legge di conversione deve essere dato conto dei presupposti di necessità e di urgenza per l'adozione del decreto-legge; inoltre, vengono descritti gli effetti attesi dalla sua attuazione e le conseguenze delle norme da esso recate sull'ordinamento; il disegno di legge è sottoposto, oltre che alla commissione referente competente, al Comitato per la legislazione. La legge 400/1988 dispone infatti che il decreto-legge debba contenere misure d'immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo: al Comitato è quindi affidato il compito di rendere effettiva questa disposizione.
 
I decreti-legge, se non convertiti in legge entro 60 giorni, perdono efficacia sin dall'inizio. La perdita di efficacia del decreto-legge è chiamata "decadenza", che travolge tutti gli effetti prodotti dal decreto-legge. Quando il decreto entra in vigore, esso è pienamente efficace e va applicato; ma se decade, tutto ciò che si è compiuto in forza di esso è come se fosse stato compiuto senza una base legale. Tutti gli effetti prodotti vanno eliminati perché costituiscono, una volta persa la base legale, degli illeciti. L'articolo  77 della Costituzione appresta due strumenti attraverso i quali è possibile trovare una soluzione: la legge di sanatoria degli effetti del decreto-legge decaduto (articolo 77 ultimo comma). Si tratta di una legge riservata alle Camere con cui si possono regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti. Ovviamente, attraverso questo strumento è il Parlamento a risolvere il problema. Vanno considerati due aspetti: innanzitutto il Parlamento, quando decida di non convertire il decreto-legge, non è affatto tenuto ad approvare la legge di sanatoria. Si tratta di una decisione politica, come tale libera e non affatto indipendente della scelta, di coprire o meno la responsabilità del Governo; in secondo luogo non è una soluzione tecnicamente praticabile sempre e comunque. Il Parlamento può appunto regolare i rapporti giuridici sorti, ma nel rispetto dei principi costituzionali e, in particolare, del principio di eguaglianza, cioè del divieto di trattare situazioni eguali in maniera diversa e situazioni diverse in maniera eguale. L'altro strumento è quello della responsabilità giuridica del Governo (articolo 77 secondo comma), nei suoi vari tipi: responsabilità penale, poiché i ministri rispondono singolarmente degli eventuali reati commessi con l'emanazione del decreto-legge; responsabilità civile, perché i ministri rispondono solidalmente degli eventuali danni prodotti ai terzi ex articolo 2043 del codice civile: «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno»; responsabilità amministrativo-contabile: i ministri che hanno espresso voto favorevole al decreto-legge rispondono solidalmente degli eventuali danni prodotti allo Stato, il cosiddetto "danno erariale"; se lo Stato ha dovuto risarcire il danno subito dal terzo, per la responsabilità civile solidale appena accennata, si deve rivalere sui ministri. La Corte Costituzionale con la sentenza numero 360 del 1996 ha posto un argine definitivo alla prassi della reiterazione: le Camere ne presero atto il 30 ottobre 1996, assicurando per legge gli effetti prodotti dal decreto caducato per l'intervento della Corte costituzionale. Giudicata assolutamente incompatibile con la disciplina costituzionale del decreto-legge, la reiterazione è ammissibile soltanto quando il nuovo decreto risulti formato su autonomi motivi di necessità e urgenza, motivi, che in ogni caso, non potranno essere ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla mancata conversione del precedente decreto.  


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