Come il ratto talpa cieco sconfisse cancro e stress

L'adattamento all'ambiente sotterraneo povero di ossigeno in cui vive ha permesso al ratto talpa cieco di ottimizzare il proprio metabolismo energetico attraverso la duplicazione di svariati geni. Sorprendentemente, questa duplicazione di geni ha trasformato una mutazione che ha indebolito un gene oncosopressore in un'arma vincente contro il cancro, una malattia a cui questi animali sono del tutto refrattari.

Il sequenziamento del genoma del ratto talpa cieco (Spalax galili) e l'identificazione del suo trascrittoma promettono di svelare la base genetica della resistenza di questa specie all'elevato stress ambientale della vita sotterranea e della sua eccezionale resistenza al cancro. (Il trascrittoma è la mappa dei profili di espressione dei geni, ossia di dove e quando i diversi geni vengono trascritti per produrre le rispettive proteine.)

Due sono le caratteristiche che rendono particolarmente interessante il ratto talpa cieco. La prima è la capacità di vivere e compiere un lavoro energeticamente impegnativo come scavare gallerie in un ambiente decisamente ipossico: nelle sue tane l'ossigeno è appena il 7,2 per cento dell'aria, mentre l'anidride carbonica sale fino a una concentrazione del 6,1 per cento.

La seconda peculiarità dell'animale è la sua sorprendente resistenza al cancro: tra le migliaia di esemplari tenuti in cattività negli ultimi 40 anni, non è mai stato registrato un singolo caso di tumori spontanei, neppure fra gli animali più vecchi (con più di 20 anni di età). Non solo: anche l'iniezione di sostanze cancerogene che in topi, ratti e altri roditori provoca l'insorgenza di tumori nel 100 per cento dei casi, non ha alcun effetto nel ratto talpa cieco.

Grazie alle prime analisi sul genoma e sul trascrittoma dell'animale – descritte in un articolo pubblicato su “Nature Communications” - Xiaodong Fang, Eviatar Nevo e colleghi hanno rilevato una sovrarappresentazione di elementi genetici ripetitivi e di singoli geni che sembrano strettamente legati agli adattamenti a un ambiente povero di ossigeno, influendo in senso positivo sul trasporto di ossigeno al cuore, sui livelli di emoglobina e di ematocrito, sulla superficie alveolare dei polmoni, sulla densità
dei capillari nei tessuti e sull'efficienza dei mitocondri, le centrali energetiche della cellula.

Secondo i ricercatori, anche la resistenza al cancro sarebbe una conseguenza indiretta dell'adattamento a un ambiente povero di ossigeno, che da un lato ha favorito la duplicazione, fra gli altri, anche del gene che codifica l'interferone-b1 (Ifnb1), e dall'altro da portato a una mutazione del gene per la proteina p53, una proteina che ha un ruolo chiave nell'impedire lo sviluppo dei tumori.

Il fatto che questa mutazione abbia indebolito le capacità antitumorali della p53, si è però paradossalmente trasformato in un vantaggio, perché la sua scarsa attivazione fa sì che nell'animale venga fortemente attivata una risposta antitumorale alternativa, mediata da elementi genetici ripetitivi, che mobilitano proprio il gene Ifnb1, scatenando un forte processo di apoptosi e, ancor più, di necrosi delle cellule tumorali.





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