“Immigrati in Italia? Saranno pensionati poveri”. E se rimpatriano addio contributi
Secondo il centro studi Idos, nel 2025 il 6% dei
pensionati sarà di origine straniera. Tra chi è in regola, uno su due ha
dovuto passare per una sanatoria, quindi ha perso una parte di anni
lavorativi. Ma tornare al Paese d'origine vuol dire azzerare i soldi
versati.
Scordatevi le giovani braccia che sognavano di lavorare nel Bel Paese. L’immigrazione italiana oggi è sinonimo di famiglie numerose e persone di mezza età. Futuri pensionati che saranno anche futuri poveri: le loro pensioni
non basteranno per arrivare a fine mese. Saranno in media inferiori di
300 euro rispetto a quelle attuali – e già misere – degli italiani. Nel 2025, spiega il dossier del Centro studi Idos “Immigrazione e sicurezza sociale”, il 6% dei pensionati sarà di origine straniera. Il Rapporto 2014 del Centro internazionale di studi sulla famiglia
(Cisf) evidenzia che già oggi le famiglie con almeno uno straniero sono
oltre due milioni: dieci volte più di quante fossero negli anni Novanta.
Famiglia e pensionati significa nuova pressione sul sistema di welfare,
soprattutto se i redditi non sono sufficienti per vivere
dignitosamente: “È difficile che gli stranieri riescano a totalizzare i
20 anni di contributi. Spesso trascorrono parte della loro carriera lavorativa in nero e in media hanno retribuzioni inferiori di un quarto agli italiani”, spiega il ricercatore di Idos Antonio Ricci.
Anche tra chi è in regola, infatti, uno su due ha dovuto passare per
una sanatoria, quindi una parte di contributi e di anni lavorativi l’ha
comunque persa.
Rimandarli a casa? In tanti probabilmente
vorrebbero andarsene, senza che qualcuno li cacci. Lo dimostrano i
numeri del flusso di ritorno, imponenti, complice anche la crisi: nel
2012 in 180mila non hanno rinnovato il permesso di soggiorno scaduto, l’anno precedente non l’hanno fatto in 263mila. Peccato che per tantissimi (soprattutto extracomunitari) questo significhi perdere del tutto i contributi. Così sono bloccati in Italia: “Sono pochi gli accordi bilaterali tra Italia ed altri Paesi
che permettono a chi ha lavorato all’estero di godere dei contributi
fuori dall’Italia. E lo stesso vale per gli italiani che hanno lavorato
in quei Paesi”, commenta Maurizio Bove, responsabile immigrazione della Cisl Lombardia. Motivo? All’Italia fanno comodo i contributi degli stranieri: le pensioni trattenute finiscono nel Fondo nazionale per le politiche sociale (il Centro di ricerche Idos non è però riuscito però a quantificare il peso del “tesoretto” di pensioni straniere incamerate nel Fondo).
Il
timore di perdere i soldi versati (e diritti) ha due effetti. Primo:
una crescita esponenziale degli iscritti al sindacato. Alla Cisl Lombardia i pensionati stranieri iscritti sono 4.087, mille in più dello scorso anno. Secondo: i lavoratori stranieri spesso dichiarano solo una parte dei contributi previdenziali. “Soprattutto certe categorie, come le badanti
– precisa Bove – chiedono alle famiglie di dichiarare il minimo
possibile”. Il resto lo intascano subito. “Come al solito – prosegue il
sindacalista – le condizioni di lavoro degli stranieri sono la cartina di tornasole delle difficoltà che vivono gli italiani”. Per uscire da questo circolo di diritti negati e zone grigie, c’è solo una strada: potenziare gli accordi bilaterali tra Stati. “Sotto il semestre europeo
che comincia a luglio sarebbe importante rilanciare queste politiche”,
aggiunge Ricci. Niente accordi, peraltro, “significa anche nessun
richiamo per gli investitori”. Così oltre a non rispettare un diritto,
si perde anche un’occasione economica.
ilfattoquotidiano.it
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