«Il razzismo non si combatte. E scrivo anche per chi non mi credeva capace...»

Nashy racconta il suo esordio letterario, un libro autoprodotto
«per i ragazzi di seconda generazione, che non leggono Fabio Volo» 

Nelle scuole superiori di Ravenna lo conoscono tutti perché con il suo progetto Primavera Araba ha riempito le palestre degli istituti parlando di razzismo e suonando con il suo compare Nazir Gallala alla chitarra. Si chiama Antonio Distefano, detto Nashy, ha 22 anni e su internet i suoi brevi racconti spopolano con centinaia di commenti entusiasti. Ora ha pubblicato il suo primo libro Fuori piove, dentro pure, passo a prenderti? che sarà presentato al Caffè Letterario di via Diaz a Ravenna il 5 giugno alle 19.

Il suo nome suona italiano, ma Antonio è figlio di due immigrati dell’Angola e nonostante sia nato in Italia ha anche lui un passaporto angolano. «Sono molti i cognomi latini in Angola, derivano dal colonialismo portoghese, infatti dal nome e dalla voce tutti direbbero che sono bianco, e quando scoprono che sono nero alcuni si spaventano». Questa reazione di rigetto è stata anche quella della mamma di una ex ragazza di Antonio, che quando ha visto per la prima volta una sua foto gli ha telefonato. «Mi ha chiamato la mattina e ha iniziato a dirmi che ero un tipo poco attendibile, che non dovevo più vedere sua figlia e poi ha iniziato a chiedermi ironicamente se stavo scrivendo un libro, intendendo che secondo lei stavo solo perdendo tempo e non sarei stato capace di scrivere. È anche per questo che ho deciso di farlo veramente».

Su Facebook e nelle scuole sei conosciutissimo, come ti sei mosso da giovane autore sui vari mezzi di comunicazione?
«Ho letto un blog in cui si consigliava di anticipare estratti del libro al pubblico e ho visto che molti mettevano “mi piace” su Facebook. Però tutto è nato dalle scuole, con il contatto diretto con le persone assieme a Primavera Araba. Dopo gli incontri molti ragazzi mi parlavano delle loro storie, e quelle storie ora compongono il libro. Su facebook mescolo brani scritti, video e immagini. Chi mi segue ha scelto di seguirmi, quindi mi sento libero di far vedere quello che voglio».

Come hai scelto le storie per il libro?
«Non le ho scelte, ho solo scritto quelle che mi colpivano di più. Non seguo una linea nel libro, sono racconti che si susseguono e a volte si scontrano. Ho scelto di scrivere tutto al passato, anche quello che è ancora presente, perché il passato è un modo di prendere le distanze, di dire questo “non mi appartiene più”, è un modo per andare avanti».

Non parli solo degli altri c’è anche molto di autobiografico…
«Sì. Racconto tre storie d'amore finite male, praticamente è un libro su come si vive da lasciati».

E il razzismo?
«Ho deciso di parlare poco di razzismo, mi sembrava troppo facile. È presente, ma é nello sfondo. Non voglio fare il nero che racconta come subisce il razzismo. Certo ho inserito le storie dei disagi passati dai miei genitori. Voglio fare lo scrittore per raccontare queste storie. Lo dico da sempre, ma i miei zii non ci credevano finché non gli ho fatto vedere il libro con il mio nome sopra. Pensavano fosse solo un sogno come quelli che vogliono diventare un calciatore famoso. “Ritieniti fortunato che sei nato qui in Italia” mi dicevano sempre “qui c’è da mangiare e si sta bene”. Non é vero però che qui ti si regalano le cose. Le cose belle le devi comunque guadagnare. Quando ero piccolo ci tolsero la casa e ci ritrovammo senza abitazione. Quella è stata una grande lezione per me. Non bisogna mai dare per scontata la propria fortuna».

Hai scritto che gli africani non esistono, cosa intendevi?
«In Italia tutti i neri sono “africani” o “senegalesi”. L’Africa non esiste. Solo in Nigeria esistono centinaia di tribù che parlano centinaia di lingue diverse. Non voglio combattere il razzismo, non si combatte, fa parte dell’uomo. Hai mai visto dei cani che imprigionano altri cani e li portano a lavorare come schiavi dall’altra parte del mondo? No, non è pensabile per gli animali questa cosa. Per gli esseri umani invece sì, perché fa parte della loro natura. E non solo i bianchi con i neri! Gli africani sono i più razzisti di tutti, se la prendono gli uni contro gli altri. Non riuscirai mai a far cambiare idea alle persone. Si può però farsi conoscere e dimostrare che le cose che pensavano di te prima di conoscerti erano sbagliate».

Per chi scrivi?
«Scrivo per i ragazzi di seconda generazione come me. Ci sono molti figli di immigrati che non possono rivedersi nelle storie di Fabio Volo. Invece nel mio libro possono dire “Sta parlando di me”».

Hai deciso di non inviare il libro a case editrici, ma di autopubblicarlo. Perché?
«Posso fare anche io il lavoro che fa un piccolo editore. Non hanno le forze per promuovere e distribuire bene il libro. I grandi editori invece vogliono cambiare il tuo libro per farlo vendere di più, modificano il titolo, decidono la copertina. Io non voglio cambiare per vendere di più. Non scrivo per vendere copie. Non ho agenti, il mio agente é il mio libro».

Sei riuscito comunque a organizzarti molte presentazioni in tutta Italia, come hai fatto?
«Mi sono accorto tramite internet che sono seguitissimo, soprattutto al Sud. Diversi ragazzi mi hanno contattato per presentare il libro nei luoghi più diversi dal Taranga, un caffè letterario di Napoli gestito da un ragazzo del Burkina Faso, alla Mondadori di Torino, dove lavora una ragazza di seconda generazione che mi ha conosciuto da internet».

L’8 giugno sarai al Festival delle Culture assieme a ospiti molto importanti come l’ex ministro Cecile Kyenge, un bell’onore per un autore esordiente…
«Sono molto felice. Io e la Kyenge veniamo dalla stessa terra, l’Angola e il Congo furono separati dagli europei che si inventarono i confini per spartirsi le colonie, ma parliamo la stessa lingua. La Kyenge è una dei pochi immigrati che ce l’ha fatta. Se ci si pensa non sono molti i neri famosi in Italia, praticamente c’è solo Balotelli, che per altro a me piace molto».

Cosa ti spaventa di più del tuo libro?
«Sono curioso delle critiche. Non sono mai riuscito ad accettarle. Spero non mi condizionino troppo. Il libro non é quello che si aspettano tutti. Spero che scrivere sia il mio futuro. Credo che l’ottimismo influisca molto sull’esito delle cose e per questo sono convinto che andrà bene».

Cosa ti auguri?
«Non di cambiare il mondo certamente, e nemmeno l’Italia, ma di accendere le menti di chi lo leggerà»








ravennaedintorni.it 

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