I pagani da persecutori a perseguitati, e i cristiani da perseguitati a persecutori
Origine persecutoria del termine "pagano", l'apertura delle città e la resistenza conservatrice del mondo rurale.
Nonostante la diffusione nella terminologia odierna, nessun romano o
greco seguace della tradizionale religione politeista avrebbe dato del
"pagano" ad un suo correligionario. In antico la parola non ha altra
accezione, in quanto aggettivo, oltre a quella di "campagnolo",
"rustico", e per traslato "rozzo"; il sostantivo indica invece chi nella
campagna (pagus designa propriamente il villaggio o una circoscrizione
territoriale rurale) vive e lavora, nient'altro che il "contadino".
L'accezione religiosa nacque molto probabilmente e conobbe una grande
diffusione nel IV sec. d.C., periodo in cui il cristianesimo si diffuse
estesamente nell'Impero e si affermò prima come religio licita (313
d.C., cosiddetto Editto di Milano), per diventare, con le famose
disposizioni antipagane di Teodosio del 391 e 392, la religione
ufficiale e l'unica consentita, con l'eccezione di una tolleranza
insofferente (e con numerosi intermezzi sanguinari) nei confronti
dell'ebraismo, nel seno del quale la nuova religione era nata e si era
sviluppata.
Altri termini usati dai cristiani erano héllēnes, éthnē, gentes o
gentiles (sostanzialmente quello che i goyim costituivano per gli
ebrei), soprattutto nel periodo in cui la loro religione costituiva una
minoranza nel mosaico dei vari culti praticati al tempo; si evitava
molto diplomaticamente di scontrarsi con le convinzioni religiose
dell'élite dominante, peraltro estremamente tollerante, in conseguenza
della struttura connaturata alle religioni politeistiche, le quali, in
misura maggiore o minore, riconoscevano l'esistenza e la dignità degli
esseri divini di un altro popolo, persino del nemico. Lo slittamento ad
una denominazione più sprezzante si ebbe quando il cristianesimo era
ormai divenuto la religione degli imperatori (anche se inizialmente in
un'altalena tra arianesimo e cattolicesimo) e aveva compiuto il decisivo
passo di "conquistare" le città. Per converso, come spesso succede, gli
ambienti più restii al cambiamento si mostrarono quelli rurali: il
tenace attaccamento ai vecchi culti e agli antichi dèi portò a
denominare per estensione i più recalcitranti al cambiamento, contadini
certo, ma anche normali cittadini e finanche senatori, "pagani".
E giunsero le persecuzioni da parte dei cristiani
Si giunse quindi al significato esposto in maniera cristallina nella
definizione di Agostino: «chiamiamo pagani gli adoratori di falsi dèi».
Era dovere del buon cristiano combattere i miscredenti, cercando di
ricondurli alla ragione e dibattendo sul piano filosofico, agendo sul
piano legislativo o arrivando, come spesso accadde, alla distruzione dei
santuari o addirittura al massacro degli stessi tenaci praticanti del
culto tradizionale. Con il passare del tempo, le sacche di resistenza si
concentrarono sempre più nelle campagne, ove resistettero gli antichi
culti, alla luce del sole o progressivamente nascosti o dissimulati.
L'accorato appello di Libanio, il più eminente oratore del suo tempo -
"pagano" - all'imperatore Teodosio, fervente cristiano, ben mostra la
situazione alla fine del IV sec. d.C.: «Tutte queste violenze si osano
anche in città, ma per lo più nelle campagne»; i cristiani distruggono i
templi, che costituiscono «l'anima delle campagne, i primi edifici in
esse innalzati e attraverso molte generazioni affidati a noi che ora
viviamo». Da una di queste "violenze", perpetrata più di un secolo dopo,
prende idealmente inizio la tradizione monastica occidentale: recatosi a
Cassino, Benedetto trova che la «gente dei campi» ancora compiva «riti
superstiziosi» e «sacrileghi sacrifici» in onore di Apollo presso un
tempio dedicato al dio sulla cima del monte. Senza indugio egli «fece a
pezzi l'idolo, rovesciò l'altare, sradicò i boschetti e dove era il
tempio di Apollo eresse un oratorio in onore di san Martino e dove era
l'altare sostituì una cappella che dedicò a san Govanni battista» (la
nostra fonte sono i Dialoghi di Gregorio Magno). I monaci d'altronde
erano stati tra i più fanatici persecutori dei "pagani" e i più
implacabili distruttori degli edifici sacri alle divinità tradizionali.
Le tradizioni e gli usi che non poterono essere estirpati vennero
riadattati, mascherati o trasformati parzialmente o totalmente in chiave
cristiana. Non a caso ciò avvenne proprio nelle realtà più lontane dai
centri urbani, e legate agli antichi ritmi rurali: esempio lampante la
festa di san Domenico a Cocullo (Aq), celebrata il primo giovedì di
maggio. In questa occasione la statua del santo viene ricoperta di
rettili, implicita richiesta di difesa dalle morsicature dei serpenti e
più in generale contro i mali del mondo: ma tale valenza era con tutta
probabilità estranea al significato originario della festa, poiché
determinata verosimilmente dal carattere sostanzialmente negativo del
serpente in ambito cristiano, mentre anticamente esso costituiva un
simbolo positivo, incarnazione materiale e visibile del genius loci,
l'essere divino che si riteneva proteggesse ciascun luogo, dalla casa
alla foresta più selvaggia (alcuni vedono nel santo una "traduzione" di
Angitia, dea venerata anticamente in quei luoghi).
Incidenza della superstizione
La storia ha dunque determinato e
fissato per sempre l'equivalenza paganus = superstizioso, seguace delle
antiche religioni politeistiche: fondamentalmente in senso negativo, in
origine esplicitamente, oggi quasi del tutto in forma implicita
(potremmo dire esclusivamente etimologico-culturale), costituendo il
secondo elemento del binomio pagano-cristiano, per indicare
l'avvicendamento religioso verificatosi in Europa. In effetti oggi non
abbiamo un'"etichetta" neutra per designare i seguaci delle religioni
tradizionali, senza ricorrere a circonlocuzioni quali quella appena
impiegata. Il discorso sarebbe lungo, poiché ciò era la conseguenza
della struttura assai diversa dei due sistemi religiosi e di variegate
contingenze storiche. Basti osservare in questa sede gli sforzi
dell'imperatore Flavio Giuliano (360-363 d.C.), ultimo e strenuo
difensore della religione avita, che designò, in mancanza di meglio, la
pratica religiosa antica con il termine "ellenismo"; ma egli coniò altre
"etichette", ben più sprezzanti: "Galilei" (dalla regione d'origine di
Gesù) e "atei" (perché disconoscevano le divinità tradizionali) per i
cristiani e soprattutto "ossari" e "tombe" per le chiese (dall'uso,
ritenuto deplorevole, di dare sepoltura negli edifici di culto
cristiani). Spesso l'imperatore rivolgeva tali epiteti a dei cittadini,
come nel caso del giustamente celebre Misopogon.
La "nuova"
religione si afferma infatti più rapidamente e più decisamente nelle
città, partendo dal basso: dialettica dunque tra "cittadino" e "rurale",
in cui quest'ultimo elemento si oppone al cambiamento, restio alle
"mode", perché legato agli ancestrali ritmi rurali.
Giorgio Ferri, storico delle religioni
http://cronachelaiche.globalist.it/
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