Se questo è un Santo

Da Marcinkus al balcone con Pinochet passando per i focolarini e lo scandalo pedofilia. Siamo sicuri che Papa Giovanni Paolo II sia davvero un santo?

A Roma, poche ore fa, Giovanni Paolo II è stato proclamato “santo”.

Secondo quanto riportato dagli atti del Concilio Vaticano II, esser santi  dovrebbe voler dire essere “modelli e intercessori”. Modelli di vita, intercessori delle virtù di Gesù Cristo. Essere “santi”  dovrebbe voler dire rappresentare un modello di vita per la comunità che si riconosce nella fede cattolica.

Scegliere di canonizzare Giovanni Paolo II vuol dire indicare ai fedeli le sue gesta come modello di vita da seguire. Le sue scelte, le sue opere, dovrebbero essere il modello virtuoso a cui l’uomo di chiesa deve attendere.

In altri termini, oggi, a San Pietro, è stato detto che esser santi vuol dire affacciarsi dal balcone di un palazzo presidenziale accanto ad un dittatore. Vuol dire accettare Marcinkus, Emanuela Orlandi, lo IOR. Vuol dire essere attenti alle casse vaticane (in funzione antisovietica) più che alla morale che sottostà a quel denaro.

Quindi poco importa se dietro ai fondi dello Ior c’era un altro papa, più siciliano, più Greco. Poco importano Sindona, Calvi, Ambrosoli: perché il fine giustifica i mezzi e se a dirlo era un Principe non si capisce perché non potesse pensarlo anche un Sovrano, il 6° – per l’esattezza – dello Stato Pontificio.

Esser santi vuol dire canonizzare Josemaría Escrivá de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei, che Giovanni XXIII e Paolo VI rifiutavano perfino di ricevere.

Vuol dire appoggiare i Focolarini e la loro ascesa nonostante non rientrassero nei dogmi della cristianità.

Vuol dire dare “il premio più alto alla persona che avrebbe potuto fermare questa macchia (della pedofilia, ndr) e non fece nulla”. Come ha ricordato il New York Times parlando dello scandalo pedofilia negli USA.

Il pontificato di Giovanni Paolo II – il terzo più lungo della storia (26 anni, 5 mesi e 17 giorni) – ha lasciato dietro di sé le macerie di un Vaticano intriso di scandali più vicini ad un regno terreno che ad un regno dei cieli. Ha lasciato in eredità un Vaticano televisivo – non è un caso che fino a Paolo VI la Santa Sede non avesse protocolli di comunicazione così rigidi né delle figure professionali preposte alla sala stampa.

L’utilizzo della televisione da parte del Papa “attore” ha creato una fede ad uso e consumo dei mezzi di comunicazioni in cui l’apparire era più importante dell’essere. Perché i mezzi di comunicazione sono questo: un grande strumento di diffusione e al tempo stesso un grande set cinematografico grazie al quale costruire una realtà che a volte non è quella che vediamo.

Ha creato una distorsione in cui i gesti di Wojtyla durante la via Crucis erano più importanti della via Crucis stessa. E questo Giovanni Paolo II lo sapeva bene e ha saputo sfruttarlo affinché le luci delle tv illuminassero sempre la sua figura e poco gli scandali che hanno segnato il suo pontificato.

Un Papa Re dall’operato insindacabile, le cui scelte erano giustificate dal fine ultimo dell’evangelizzazione. Un’evangelizzazione che non conosceva confini e che andava perseguita in tutte le forme e con tutti i mezzi. Una Papa Re capace di neocrociate mediatiche in giro per il mondo. Un Papa Re che aveva capito, prima di altri, che le guerre non si vincono con un esercito ben addestrato ma con i mezzi di informazione e una buona dose di capitali.

Un Papa Re che anche al momento della sua morte ha voluto marcare il solco tra lui e il resto del mondo, scegliendo ciò che agli altri veniva vietato. Un Papa Re che ha riportato la chiesa “nel medioevo ma con la televisione” celandosi dietro un più laico e pragmatico “fate quello che dico io, non fate quello che faccio io”.



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