Perugia / Prove pratiche di Jobs Act
Sul
numero 34 di Umanità Nova avevamo trattato il caso di un lavoratore
della Fincantieri di Sestri Ponente, licenziato su due piedi per
“insubordinazione”dopo aver risposto a tono a un caporeparto che
lo aveva insultato con un epiteto chiaramente razzista.
Se
quello era stato un significativo esempio di cosa ci possiamo
aspettare con l'approvazione del Jobs Act, quanto accaduto ora a
Perugia ci dà un ulteriore, gravissimo segnale di quale sarà
l'atmosfera nei luoghi di lavoro negli anni a venire se dai
lavoratori non partirà, oggi, una immediata e ferma risposta.
Il
caso, recentissimo, è quello di Marilena Petruccioli, lavoratrice
della Perugina-Nestlè e membro della RSU per la Fai-Cisl, categoria
protetta in conseguenza del grave infortunio sul lavoro di cui fu
vittima nel 1997, quando era ancora assunta con un contratto a tempo
determinato.
La
“colpa” della lavoratrice, come riporta il quotidiano La
Repubblica, è stato quello di avere pubblicato, a fine ottobre, sul
suo profilo Facebook, un posto nel quale veniva criticato il capo del
personale di un'azienda (non indicata come la Perugina) che aveva
utilizzato il termine “collare” in riferimento ai dipendenti
dell'azienda: “Oggi mi è capitato di leggere un provvedimento
disciplinare in cui il capo del personale di questa azienda (e badate
bene, non il proprietario, il padrone) ha usato un termine a dir poco
vergognoso: COLLARE. Qualcuno dei suoi superiori dovrebbe fargli un
ripassino dei principi che l'azienda per la quale lavora sbandiera
ovunque. Il collare lo indossano i cani, non le persone. E certi
personaggi che ricoprono certi ruoli dovrebbero stare attenti ai
termini che usano in certi atti ufficiali”.
Che
poi nel post non venisse citata esplicitamente la Perugina-Nestlè
poco importa. Lo scritto è stato notato ed era partita una lettera
di contestazione cui la lavoratrice aveva risposto esponendo le sue
ragioni, spiegando che non intendeva parlare della Perugina. Come
nella vicenda accaduta alla Fincantieri, l'unica risposta che
l'azienda ha dato di fronte alle giustificazioni della lavoratrice è
stata una lettera di licenziamento in tronco.
Chiaramente
la cosa ha messo in subbuglio la Cisl umbra che ha accusato l'azienda
di aver compiuto “un atto unilaterale inaccettabile, giunto come un
fulmine a ciel sereno, che getta al vento le relazioni sindacali”.
Da
parte nostra, il fatto non ci stupisce. È ovvio che l'opera
demolitoria di Renzi mira a imporre per legge la totale supremazia
del padronato, che d'ora in avanti potrà imporre nelle aziende un
tallone di ferro, così come è ovvio che tutto il resto della sua
propaganda è solo una serie di colossali fanfaluche, buone solo per
gli allocchi o per chi è in perfetta malafede.
In
questo caso però, forse il clamore suscitato dalla vicenda, finita
sui media non solo locali ma anche nazionali, sindacato ed azienda
sono arrivati ad un accordo sulla base del quale alla lavoratrice
verrà comminato un semplice provvedimento disciplinare “che non
mette in discussione la continuità del rapporto” in cambio
dell'ammissione che quei commenti su un capo reparto erano
“inappropriati”.
Mentre
la lavoratrice sempre su Facebook scrive ringraziando “tutti per le
dimostrazioni di solidarietà. Scusate ma siete tanti e non riesco a
rispondere a tutti, mi sta andando in tilt il telefono. Comunque
grazie, grazie, non so che altro dirvi” e con un secondo post
“Ringrazio tutti quelli che mi comprendono, gli altri li rangrazio
ugualmente, la libertà di pensiero ha sempre portato a grandi cose”,
resta da chiedersi cosa pensano ora i lavoratori della
Perugina-Nestlè dopo che la segretaria Cisl, Annamaria Furlan, ha
candidamente dichiarato che, dopo le ultime modifiche in Parlamento,
“Il Jobs Act, in fondo, sta cambiando in meglio”?
Fonte: "Umanità Nova", settimanale anarchico
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