Rapporto SviMez - I numeri dello sfacelo
Tra
le principali economie industrializzate, l'Italia è fra le più
lente a recuperare a causa della crisi di competitività che la
colpisce da oltre dieci anni. Nel 2013 il PIL è crollato nel
Mezzogiorno del 3,5%, aggravando la flessione dell'anno precedente
(-3,2%): per il sesto anno consecutivo il PIL del Mezzogiorno
registra segno negativo, a testimonianza della criticità dell'area.
La
Calabria si conferma la Regione più povera d'Italia con un PIL pro
capite che nel 2013 si è fermato a 15.989 euro; a livello nazionale
il PIL è stato di 25.457 euro, risultante con una media tra i 29.837
euro del Centro-Nord e i 16.888 euro del Mezzogiorno.
La
nuova flessione riporta il numero degli occupati del sud, per la
prima volta nella storia a 5,8 milioni, sotto la soglia simbolica dei
6 milioni: il livello più basso almeno dal 1977, caso unico in
Europa, l'Italia è un Paese spaccato in due sul fronte migratorio:
un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno e un Sud che
espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla. Le migrazioni dal
Sud al Centro-Nord hanno perso la connotazione di massa, come negli
anni '50 e '60, e hanno assunto caratteri più selettivi.
Per
le nuove generazioni del Mezzogiorno sono sbarrate le porte d'accesso
al lavoro, la durata della disoccupazione si è allungata, così come
la transizione scuola-lavoro, un presente incerto fatto di
emigrazione, lunga permanenza in uno stato di inoccupazione,
scoraggiamento a investire nella formazione più avanzata. Al
dualismo territoriale si unisce insomma anche quello generazionale:
dal 2008 al 2013 sono andati persi in Italia 1 milione e 800mila
posti di lavoro fra gli under 34, mentre per gli over 35 nello stesso
periodo l'aumento è stato di oltre 800mila unità. Il tasso di
disoccupazione degli under 35 è salito nel Mezzogiorno nel 2013 al
35,7%. Dei 3.593.000 Neet (Not in Education, Employment or Training)
registrati nel 2013, 2 milioni sono donne e quasi 2 milioni si
trovano al Sud.
La
quota dei Neet sul totale della popolazione è arrivata nel 2013 al
27%. In questo senso la tendenza del Centro-Nord è la
meridionalizzazione; con la crisi, la condizione dei Neet si è
estesa anche ai giovani con titoli di studio più elevati: fra gli
inattivi al Sud i diplomati sono il 37,5% e i laureati il 32,4%,
contro rispettivamente il 21% e il 17% dell'altra ripartizione. E se
il 60% dei Neet è in una condizione di “figlio”, crescono in
cinque anni del 32% anche i single o conviventi in questa situazione.
Le
donne del Sud tornano al lavoro, ma restano segregate in basse
qualifiche.
Aumentano
i pendolari verso l'estero. Nel 2012 i cittadini italiani trasferiti
all'estero sono stati circa 68mila, 18mila in più rispetto al 2011.
Ma ad emigrare non sono i meridionali: in due anni, dal 2010 al 2012,
i cittadini settentrionali che hanno preso la via dell'espatrio sono
passati da 29 a 47mila. La maggior parte degli espatriati ha tra i 18
e i 39 anni, e al Sud il 28% degli espatriati è laureato.
Interessante notare che se dal 2008 al 2013 i pendolari di lungo
raggio dal Sud al Centro-Nord sono diminuiti del 21%, sono aumentati
del 20% quelli diretti all'estero.
Gli
italiani si sono diretti soprattutto in Germania, quasi uno su tre
(29%), seguiti da Svizzera e Gran Bretagna. Il 58% degli espatriati è
di sesso maschile. In dieci anni, dal 2002 al 2012, i meridionali
emigrati all'estero sono stati quasi 185mila, soprattutto da Napoli
(55mila) e Palermo (41mila). Per il secondo anno consecutivo si
registra un calo di oltre 20mila nati, a testimonianza
dell'invecchiamento della popolazione, della scarsa immigrazione
straniera e dell'insufficiente ricambio generazionale dovuto ai bassi
tassi di nascita.
I
consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, arrivando a
ridursi nel 2013 del 2,4%, a fronte del -2% delle regioni del
Centro-Nord.
Gli
investimenti fissi lordi hanno segnato una caduta maggiore al Sud
rispetto al Centro-Nord: -5,2% rispetto a -4,6%. Dal 2008 al 2013 in
più sono crollati del 33% nel Mezzogiorno e del 24,5% nel
Centro-Nord.
Il
valore aggiunto del settore agricolo meridionale (compreso
silvicoltura e pesca), nel 2013 ha segnato +6,9%, rispetto al +4,8%
del Centro-Nord. Nonostante ciò, negli ultimi sei anni di crisi il
valore aggiunto del settore agricolo meridionale ha lasciato sul
campo -8,8%.
Nell'edilizia
il valore aggiunto del settore è sceso del 9,6% nel Mezzogiorno e
del 4,8% nel Centro-Nord, aggravando la perdita del 2012
(rispettivamente -9,1% e -4,5%), arrivando a cumulare nel Sud, dal
2007 al 2013, una perdita del valore aggiunto del 35,3%.
Il
rapporto SVIMEZ 2014 evidenzia due grandi emergenze nell'ex belpaese:
quella sociale con il crollo occupazionale e quella produttiva con il
rischio di desertificazione industriale, che caratterizzano per il
sesto anno consecutivo il Mezzogiorno.
La
presenza nella Pubblica Amministrazione è più elevata al
Centro-Nord, con 31 addetti ogni mille abitanti nel 2011, contro i 26
del Mezzogiorno. Quanto agli asili nido, in base agli ultimi dati
disponibili del 2011, la percentuale di bambini accolta è al Sud
del 5% contro il 18,4% del Centro-Nord; mentre il settore no profit
negli ultimi anni sta assumendo un ruolo sussidiario rispetto al
sistema di welfare pubblico, specialmente nell'erogazione dei servizi
sociali ai cittadini.
Nelle
città meridionali infatti si presentano in forma acuta tre aspetti
critici della condizione urbana europea: tassi di disoccupazione più
elevati, espansione urbana incontrollata, dissesto idrogeologico. Le
città del Sud, pure essendo per lo più costiere, non riescono a
valorizzare le ampie aree interne, diventano luoghi dove aumentano le
diseguaglianze di reddito e viene sempre meno la capacità di
inclusione sociale. Infatti viene stigmatizzato il ruolo delle
organizzazioni che continuano a operare controllando il territorio,
intrecciando rapporti collusivi con settori dell'economia legale e
istituzionale e mescolandosi con la società civile e con il mondo
imprenditoriale. Le organizzazioni criminali italiane svolgono
attività illecite, generano business, interagiscono sul sistema
economico e sociale del Paese alterando le logiche di mercato con
meccanismi di corruzione ed evasione fiscale.
Diversi
studi negli ultimi tempi hanno cercato di quantificare l'economia
criminale sul sistema: uno studio a cui hanno partecipato anche
studiosi della Banca d'Italia parla di 150 miliardi di euro annui,
pari al 12% del PIL.
La
crisi offre un'occasione di conflitto che è sempre più difficile
riassorbire all'interno delle relazioni sociali esistenti. La perdita
irreversibile di un ampio sistema di garanzie e tutele, la fine dello
scambio socialdemocratico tra sicurezza e conflitto, ci offre
prospettive inesperite. Attraversare la crisi è una straordinaria
opportunità per costruire circuiti di autonomia autogestionaria.
Viverne i tempi è un gioco pericoloso che nessuno sceglie
volontariamente, tuttavia offre possibilità di sviluppo a pratiche
di autonomia dall'istituito, che le politiche di welfare parevano
aver mandato definitivamente in soffitta.
Fonte: "Umanità Nova", settimanale anarchico
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