Diciannove anni senza un colpevole: Marcone ucciso un'altra volta dalla mafia di Stato
Foggia
è
distratta e sorda, cieca e muta; in una parola: omertosa. Tutto a posto!
La Puglia dove è lautamente assiso dal 2005 sul tronetto da governatore
Nichi Vendola, tuttavia non è un'isola felice. Non ode gli spari e non
sente le esplosioni. Prevale l’oblio e dilaga l'illegalità ad ogni
livello, soprattutto istituzionale. I casi Ilva del clan Riva,
Marcegaglia (inceneritori e discariche) e san Raffaele di don Verzé a
Taranto, risultano esemplificativi per il presidente pro tempore di
Terlizzi. La pistola è una calibro 38, a tamburo. Secondo la versione
ufficiale degli eventi con questa arma è stato ucciso il 31 marzo 1995 Francesco Marcone,
57 anni,
direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia. L’assassino ha seguito la
vittima mentre rientrava a casa e, una volta dentro l’androne del
portone - in
pieno centro urbano - gli ha sparato a due metri di distanza due colpi
di pistola,
alla nuca e alla schiena. Una strada trafficata in pieno centro urbano.
Centinaia
di abitazioni e finestre. Eppure niente testimoni oculari, nessuna
difficoltà nella fuga. Insomma, un lavoro da professionisti del crimine,
coronato da un lampo di tempestività giudiziaria: le prime indagini, si
fa per
dire, scattano concretamente soltanto dopo sei mesi. Il primo pubblico
ministero incaricato è
Antonio Buccaro. Marcone era una persona irreprensibile: gli inquirenti,
però,
invece di cercare immediatamente mandanti e assassini mettono a
soqquadro la
sua trapassata esistenza, setacciano con zelo il suo conto bancario,
fanno
accertamenti patrimoniali, rovistano la sua casa. Il 22 marzo, appena 9
giorni
prima, Marcone aveva sporto una documentata denuncia penale all’autorità
giudiziaria. E’ la prima volta che in Italia si uccide un funzionario
delle Finanze statali. Possibile movente: il suo rigoroso lavoro.
L’Ufficio del Registro è un
crocevia di interessi: transazioni immobiliari da sovrintendere,
valutazioni da
eseguire, importi da determinare e da far pagare sotto forma di tasse.
In altri
termini, un coacervo di interessi legali e illegali che da anni ha
paralizzato
la città.
Verso le ore 19 della sera del 31 marzo 1995, il direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia, Francesco Marcone, fa rientro a casa, a bordo della sua Fiat Panda. Parcheggia su corso Roma, dinanzi alla sua casa in centro e attraversa la strada. Compie trentatre passi e apre il portone del condominio al civico 17 di via Figliolia. Dietro di lui il portone non si chiude, più tardi si scoprirà che il congegno a molla non funzionava, forse perché manomesso da ignoti. Sale i primi due gradini degli otto della piccola rampa che conduce all’ascensore, e viene fulminato alle spalle da due colpi di pistola, che lo feriscono mortalmente alla nuca e alla schiena. Qualcuno testimonierà, agli agenti della Mobile e al magistrato di turno, Antonio Buccaro, accorsi sul posto, solo di aver sentito distintamente due spari. Il killer che ha esploso i due colpi d’arma da fuoco è ancora ignoto, nonostante l’applicazione al caso di ben sei magistrati (tre pm e tre gip): inchiesta dapprima indirizzata verso gli ambienti della criminalità organizzata locale, e la certezza di trovarsi di fronte ad un killer professionista. Infatti, l’omicida ha sparato a freddo, senza farsi notare, mostrando di conoscere perfettamente gli orari di Marcone. Dopo 19 anni la Procura della Repubblica di Foggia è approdata al nulla: l’ultima archiviazione risale al 2005. Anche gli avvisi di garanzia che raggiungono Stefano Caruso, direttore generale per le entrate fiscali in Puglia, e Antonio Marinari, imprenditore e consigliere provinciale del Polo berlusconiano, sono stati inutili. Nonostante la pesante accusa di concorso in omicidio, i due vengono scarcerati dal Tribunale della Libertà, che ritiene gli indizi irrilevanti, nonostante Caruso fosse stato già coinvolto nei reati di abuso e violazione del segreto d’ufficio e frode fiscale per aver favorito due imprenditori locali, evitando loro di pagare un’imposta di destinazione d’uso su un terreno. Altri particolari inquietanti: lo stesso Caruso, alla vigilia del Natale ’93, riceve un “avvertimento”, di stile mafioso: sparano ad altezza d’uomo nel suo appartamento. C'era una domestica di origine albanese che viene fatta ripartire in tutta fretta subito dopo il fattaccio. Ma l'evento rimane ancora oggi sepolto nell’ombra. Attentato o messinscena? Quando Caruso viene interrogato in Questura la notte del 31 marzo '95 non menziona questo accadimento. Caruso sapeva di essere intercettato? In caso positivo chi gli ha soffiato al momento opportuno questa informazione? Qualche poliziotto amico? In particolare, qualcuno ha depistato le indagini?
Il medesimo Caruso poco tempo dopo sale di grado: viene promosso dal ministro Visco e richiamato a Roma. Sempre Caruso, cognato dell'ex onorevole democristiano Franco Cafarelli (ex componente della Commissione bicamerale antimafia), nella primavera del 1995 compie un singolare viaggio a Palermo dove soggiorna alcuni giorni in un albergo di proprietà di Michele Aiello (prestanome del boss Bernardo Provenzano), condannato in via definitiva a 15 anni di reclusione, ma scarcerato e posto ai domiliari perché intollerante al vitto della galera di Sulmona. I carabinieri del Ros hanno accertato che allo Zabara Hotel (della Cogeas) si tenevano summit mafiosi. Nessun magistrato ha mai chiesto conto a Caruso di questa trasferta, esattamente qualche giorno dopo l'omicidio di Marcone. Nel settembre dell'anno 2006 ho chiamato ripetutamente al telefono della sua abitazione a Foggia, Stefano Caruso chiedendogli un'intervista (il colloquio telefonico è stato ovviamente registrato). Inizialmente aveva accettato, ma poi, poco dopo, ha declinato inspiegabilmente la disponibilità e l'invito. In una visura camerale, Caruso figura in una società dei fratelli Sarni che opera in Abruzzo (proprio a Sulmona). La pista Sarni è una di quella battute epidermicamente dalla Guardia di Finanza. Poi c'è la Foar, la Nuova Foar, la Sicilsud e la potente banca San Paolo di Torino, nonché l'area Fibronit a Bari. E tanto altro ancora, su cui aveva indagato il giudice Giovanni Falcone. Stefano Caruso ha una figlia di nome Antonella che fa la giornalista a Teleblù. Questa campionessa di deontologia giornalistica ha scritto il 30 marzo 2012 un'articolessa per Il Corriere del Mezzogiorno proprio del delitto Marcone intervistando il procuratore Vincenzo Russo, ed innescando una sterile polemica con la famiglia Marcone. Nel settembre del 2007 mentre ero a Catania, è giunta una lettera anonima a casa di Daniela Marcone. Il contenuto intimidatorio era a me indirizzato. Ho sporto denuncia alla Direzione distrettuale antimafia di Bari, ma a tutt'oggi non ho ancora saputo nulla dell'esito di un'eventuale indagine giudiziaria.
Sempre a Teleblù è andato in onda con la presentatrice Antionella Caruso l'onorevole Angelo Cera (esponente e sodale del partitino di Totò Cuffaro) che gratuitamente nel corso di una trasmissione ha pesantemente minacciato lo scrivente pur assente dallo studio televisivo.
Nel
'95 durante i funerali di Marcone l'arcivescovo Giuseppe Casale aveva
domandato ai fedeli presenti in quella circostanza quanti altri omicidi
la città di Foggia avrebbe dovuto attendere prima di una reazione
collettiva. Ciò che il prelato sospettava ma che non ebbe il coraggio di
dichiarare, era che il delitto non fosse maturato negli ambienti
abituali della criminalità dedita allo spaccio di droga, al racket delle
estorsioni e dell'usura o a qualsivoglia reato legato alla quotidiana
lotta per il predominio del territorio. La morte di Francesco Marcone,
fu decisa da un tipo di mafia insospettabile, molto più vischiosa e
difficile da penetrare: la potente mafia dei colletti bianchi in salsa
massonica. Certo, i sicari erano manovalanza della criminalità -
professionisti di un certro calibro giunti da un'altra regione del Sud -
ma i mandanti andavano senza alcun dubbio ricercati tra gli ambienti
più economicamente elevati della società. Monsignor Casale doveve essere
ascoltato dalla Commissione Antimafia, quando il primo giugno 1995
venne in missione in Puglia. Ma la presidente di allora, Tiziana Parenti
(magistrato), lasciò inspiegabilmente cadere nel vuoto richiesta
ufficiale avanzata dall'onorevole collega Simeone.
La sorella del funzionario ammazzato, la scrittrice Maria Marcone (deceduta poco tempo fa), pochi giorni dopo il funerale del fratello, inviò una lettera a tutti i giornali, in cui esortava la città a ribellarsi e a non restare indifferente. Le sue parole sono divenute materia letteraria. Le lancette di questa morte oggi indicano il numero 19. Diciannove, appunto, sono gli anni trascorsi dal delitto Marcone. Il porticciolo locale delle nebbie ha fatto la sua parte e qualcuno ha fatto pure carriera. Risultato attuale: gli assassini non sono mai stati individuati e non hanno un nome i prestigiosi mandanti, mentre lo Stato nel 2005 se l'è cavata con una medaglia d'oro, alla memoria, elargita dal presidente Ciampi.
La sorella del funzionario ammazzato, la scrittrice Maria Marcone (deceduta poco tempo fa), pochi giorni dopo il funerale del fratello, inviò una lettera a tutti i giornali, in cui esortava la città a ribellarsi e a non restare indifferente. Le sue parole sono divenute materia letteraria. Le lancette di questa morte oggi indicano il numero 19. Diciannove, appunto, sono gli anni trascorsi dal delitto Marcone. Il porticciolo locale delle nebbie ha fatto la sua parte e qualcuno ha fatto pure carriera. Risultato attuale: gli assassini non sono mai stati individuati e non hanno un nome i prestigiosi mandanti, mentre lo Stato nel 2005 se l'è cavata con una medaglia d'oro, alla memoria, elargita dal presidente Ciampi.
Tuttavia,
un'inchiesta giornalistica trasfusa in un libro, che però stenta a
trovare un editore dotato di coraggio civile, ha fatto finalmente un pò
di luce.
Gianni Lannes
sulatestagiannilannes.blogspot.it
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