E' cresciuto in Italia ma è disabile. La legge gli vieta la cittadinanza italiana

Un 25enne con deficit mentali, arrivato bambino dalla ex Jugoslavia, non può diventare cittadino italiano nonostante la richiesta del tutore. Secondo la norma infatti ci deve essere una 'manifestazione consapevole' di volontà. E la discriminazione resta, nonostante le richieste al ministero dell'Interno.


Un disabile straniero, giunto in Italia appena nato, dopo 25 anni trascorsi nel Belpaese non ha diritto alla cittadinanza italiana. Il motivo? Proprio essere portatore di handicap, vittima di gravi problemi a livello psichico. Alla cittadinanza italiana infatti non hanno diritto tutti quelli che, vittime di deficit mentali, non possono fare tale richiesta in prima persona.  

Mentre si continua a dibattere di diritti civili e di nuove attenzioni verso il problema dei migranti, questa è la posizione presa dal Ministero dell’interno. La vicenda è venuta alla luce dopo la richiesta fatta dal tutore di un 25enne originario della ex Jugoslavia, ospite di una comunità in provincia di Catania. E inutile anche il ricorso al Tar: i giudici hanno ritenuto che sia competente a decidere il Tribunale ordinario, ma hanno comunque avallato la linea del Viminale.  

Secondo il Ministero dell’interno, la domanda per la concessione della cittadinanza italiana “richiede una manifestazione consapevole della relativa volontà, che l’interdetto non è ovviamente in grado di rendere e non può essere surrogato dal tutore”. Il 25enne slavo giunse sul suolo nazionale nel 1989, quando il suo Paese era già una polveriera. Era ancora in fasce e arrivò in Italia insieme alla madre, poi deceduta. Il giovane, vittima di un grave ritardo psicomotorio, è così finito ospite in una comunità nel catanese. Nell’ottobre 2007 il Tribunale per i minori di Catania lo ha dichiarato interdetto e come suo tutore è stato nominato il responsabile della comunità, che ha chiesto per il 25enne la cittadinanza italiana, ma la domanda, l’8 febbraio 2013, è stata rigettata dal Viminale.  

Il responsabile della comunità ha provato a far tornare il Ministero sui propri passi. In quel periodo il dicastero era retto da Annamaria Cancellieri e la situazione non è cambiata con l’arrivo al Viminale di Angelino Alfano, nonostante con il Governo Letta non passasse giorno senza che il ministro Cécile Kyenge, ora europarlamentare, intervenisse sui diritti degli stranieri in Italia.  

Il tutore ha così fatto ricorso al Tar del Lazio, battendo su precedenti aperture in materia fatte dal Consiglio di Stato e sulla Convenzione Onu per i disabili. Il Tribunale amministrativo si è ora dichiarato incompetente, sostenendo che su tale materia deve decidere il giudice ordinario, ma nella sentenza emessa non ha mancato di sposare la linea del Viminale.  

“Se per un attimo – hanno specificato i giudici – ci si astrae dalla peculiarità del caso di specie, che merita ogni sensibilità in quanto concerne la situazione di un infelice, soffermandosi solo sul principio di diritto, non potrà non convenirsi che i doveri e gli obblighi richiesti al neo cittadino, rendano le dichiarazioni di richiesta della cittadinanza un diritto personalissimo”. E per il Tar il diritto personalissimo non ammette “rappresentanza da parte del tutore”, citando anche il caso Englaro. Un quarto di secolo trascorso in Italia non basta dunque a far diventare italiano uno straniero e solo perché gravemente disabile.








espresso.repubblica.it

Commenti

Post popolari in questo blog

Orge omosessuali in Vaticano, ecco i nomi degli ecclesiastici finiti sotto accusa

Fotovoltaico al grafene: potente quasi quanto l'uranio

Cairo-Dock 3.2 migliora il supporto per Multi-screen e Ubuntu 13.04