Sta per scoppiare la terza intifada?

Se ci sarà, sarà diversa dalle precedenti, sarà indirizzata anche contro l'Autorità Nazionale Palestinese. #SaveGaza.

Se è scoppiata o meno una nuova Intifada in Cisgiordania, lo capiremo a breve tempo. E se la terza Intifada scoppierà, sarà diversa dalle precedenti, indirizzata anche contro l'Autorità Nazionale Palestinese. Almeno questa era l'opinione diffusa tra la gente, tra chi sempre partecipa alle manifestazioni contro l'occupazione, tra chi è stato nelle carceri israeliane ed ha sempre creduto nella possibilità di liberare la palestine, fino a prima del rapimento dei tre coloni.

Dopo mesi di focolai di protesta scoppiati in tutti i centri al lato destro della linea verde, nella serata ddell'altroieri intorno alle 20 mila persone si sono riversate nelle strade di Ramallah, per una marcia verso il checkpoint di Qalandya. Una folla che non si vedeva da tempo. Partita dal campo profughi di Al Amari con l'intento dichiarato di raggiungere la Città Santa, quella che per i palestinesi resta AlQuds. Il bilancio, secondo fonti interne al Ramallah hospital, è di 2 morti, una decina di feriti gravi e oltre 180 feriti, di cui la maggior parte da arma da fuoco. Mentre da molti quartieri di Gerusalemme est giovani sono scesi in strada scontrandosi con la polizia. 

La rabbia è esplosa per le atrocità che sta commettendo Israele a Gaza. Al 18° giorno dell'operazione Protective Edge nella Striscia, siamo a più di 800 morti e circa 5200 feriti con un numero di sfollati che si conta in decine di migliaia. E solo due giorni fa, per i puristi dei "danni collaterali", una struttura Onu, una scuola gestita dall'Unrwa che ospitava molti sfollati, è stata colpita dall'artiglieria israeliana, causando 15 morti, tra cui ci sarebbe personale Onu. Intanto il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha approvato la richiesta palestinese di avviare un'inchiesta internazionale per valutare le azioni dell'esercito israeliano. La decisione di avviare finalmente un'inchiesta che dovrebbe essere "neutrale" ha incontrato un solo voto contrario, quello degli Usa , mentre l'Italia si è astenuta insieme ad altri 16 paesi. 

Ma la marcia non era semplicemente in solidarieà con Gaza. Il nome che gli organizzatori si sono dati, '48 march, è esemplificativo di qualcosa che dalle nostre parti difficilmente si riesce a ricordare. O si vuole ricordare. La Palestina vive sotto occupazione. Tutta la Palestina. Sia i territori che anche la comunità internazionale riconosce ufficialmente "occupati", senza peraltro fare nulla per porre fine alla situazione, sia i territori che tutti siamo soliti chiamare Israele. Almeno questo è il punto di vista di molti degli abianti della Cisgiordania e di Gaza, e dei milioni di palestinesi che vivono come rifugiati in altri stati sin dal lontano '48, ancora in attesa di fare ritorno alle proprie case. 

Si dimentica che Israele, senza dubbio, è l'ultimo stato coloniale presente al mondo, quantomeno, l'ultimo stato coloniale che attua le sue politiche tramite l'occupazione. Sebbene sia ai vertici della Commissione Onu per la decolonizzazione. Uno stato che sottopone un'altro popolo al suo dominio, lo priva delle sue risorse, lo rinchiude in un'area da lui stabilita, e continua a portare avanti il suo progetto di espansione. Non solo oggi, con l'ennesimo massacro a Gaza. 

Tutti elementi dei quali non si tiene conto nel raccontare ciò che succede in Palestina. Fattori che scompaiono improvvisamente nell'analisi della situazione.
Una narrazione che tiene conto dei discorsi di Obama sul diritto di Israele di difendersi, come corollario di un discorso che tutto intero non regge, invece di parlare di uno Stato che compie atti più simili al terrorismo che ad altro. In questa situazione, l'unico diritto sancito veramente è quello di un popolo oppresso, tenuto sotto occupazione, di ribellarsi al proprio oppressore. Diritto dei palestinesi di Cisgiordania, diritto di quelli di Gaza. A questo punto del gioco, perchè fa tutto parte del gioco del potere quello vero, non si può più sostenere che i media facciano finta di non vedere. Oggi come 6 anni fa all'epoca di Piombo fuso, come 13 anni fa all'epoca della seconda intifada, le narrazioni mainstream sono non solo filo-israeliane, ma consapevolmene fuorvianti. Tossiche. Non si tratta soltanto del minimizzare e nascondere certi avvenimenti presenti oppure amplificarli a seconda che si riferiscano a una parte oppure all'altra. Cambiano i termini della questione, trasformano l'occupante in chi si difende, l'occupato che si ribella nel terrorista, il giovane senza speranze nell'individuo pericoloso. Questo succede nei media mainstream, che si limitano a un commento parziale senza fornire una chiave di lettura ai fatti. Un tweet circolava in rete ieri sera, davvero illuminante, "rimproverare Hamas per il lancio di razzi, è come rimproverare una donna che prende a pugni il suo stupratore". 

Nel racconto portato agli occhi del pubblico, anche l'organismo che amministra risorse e mantiene l'ordine interno, l'Anp, si trasforma nel rappresentante del popolo. Una Anp che è diventata strumento di controllo dell'occupazione israeliana in Cisgiordania, cosa peraltro evidente da tempo, e adesso, dopo lo scontento, attira su di sè la rabbia di molti. C'è un muro, non solo quello dichiarato illegale dalla comunità internazionale ben 10 anni fa, simbolo concreto dell'occupazione e delle politiche di segregazione portate avanti da Israele. C'è un muro alto e spesso, costruito dai media e dalla politica internazionale, che impedisce ai più di vedere. 

Ebbene i 20 mila cercavano di rompere quel muro. La rabbia è esplosa. Forse è scoppiata una terza intifada. Lo capiremo tra poco. 






globalist.it

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