L'impronta di virus e tumori nell'evoluzione dei mammiferi
I mammiferi di dimensioni più grandi hanno evoluto efficienti meccanismi per ridurre nel proprio
DNA la frequenza di sequenza genetiche di antichi retrovirus, che
possono causare tumori. Lo ha dimostrato un'analisi dei genomi di 38
specie di mammiferi, compreso l'essere umano.
Il genoma racconta la lunga battaglia dell'evoluzione dei mammiferi contro i tumori. Lo sostiene in un articolo pubblicato sulla rivista "PLOS Pathogens" un
gruppo di ricercatori delle università di Oxford, Plymouth e Glasgow
che ha analizzato sequenze genetiche di antichi virus nel DNA di 38
specie di mammiferi. La frequenza con cui si presentano queste sequenze
virali indica che gli animali di maggiori dimensioni hanno evoluto
meccanismi più efficienti con cui controllare l'insorgenza di neoplasie.
Occasionalmente, alcuni retrovirus (virus cioè che hanno il patrimonio genetico sotto forma di RNA e che usano un particolare enzima per tradurlo in DNA) chiamati endogeni, infettando l'organismo di un mammifero possono integrare il proprio materiale genetico nel genoma dell'ospite. In questo modo, il genoma virale viene trasmesso di generazione in generazione.
Grazie allo studio, gli autori hanno identificato 27.711 retrovirus endogeni integrati nel genoma di 38 specie di mammiferi, compreso l'essere umano, che si sono preservati negli ultimi dieci milioni di anni. Si è così scoperto che via via che gli animali aumentano di dimensioni, aumenta anche la capacità dell'organismo di espellere dal genoma questi residui genetici virali. Le differenze in gioco sono enormi: i topi, che pesano circa 20 grammi, hanno in media 3331 sequenze di retrovirus endogeni, gli esseri umani, con una massa corporea media di 60 chilogrammi, ne hanno 348, mentre i delfini, che pesano circa 280 chilogrammi, solo 55.
Occasionalmente, alcuni retrovirus (virus cioè che hanno il patrimonio genetico sotto forma di RNA e che usano un particolare enzima per tradurlo in DNA) chiamati endogeni, infettando l'organismo di un mammifero possono integrare il proprio materiale genetico nel genoma dell'ospite. In questo modo, il genoma virale viene trasmesso di generazione in generazione.
Grazie allo studio, gli autori hanno identificato 27.711 retrovirus endogeni integrati nel genoma di 38 specie di mammiferi, compreso l'essere umano, che si sono preservati negli ultimi dieci milioni di anni. Si è così scoperto che via via che gli animali aumentano di dimensioni, aumenta anche la capacità dell'organismo di espellere dal genoma questi residui genetici virali. Le differenze in gioco sono enormi: i topi, che pesano circa 20 grammi, hanno in media 3331 sequenze di retrovirus endogeni, gli esseri umani, con una massa corporea media di 60 chilogrammi, ne hanno 348, mentre i delfini, che pesano circa 280 chilogrammi, solo 55.
Considerati
questi dati, argomentano i ricercatori, è molto probabile che i
mammiferi abbiano evoluto meccanismi genetici per ridurre la diffusione
dei residui dei retrovirus endogeni. Il bersaglio di questi meccanismi
non sarebbero i virus in sé quanto piuttosto i tumori che possono essere causati dai virus.
Quando le sequenze genetiche di un retrovirus endogeno sono integrate nel genoma, possono “saltare” o essere copiate in altre parti del DNA dell'ospite, contribuendo così a produrre mutazioni che aumentano il rischio di cancro. Se, per esempio, sono integrate in una sequenza genetica responsabile dei meccanismi di soppressione dei tumori, la funzionalità di questi meccanismi potrebbe venir meno.
Quando le sequenze genetiche di un retrovirus endogeno sono integrate nel genoma, possono “saltare” o essere copiate in altre parti del DNA dell'ospite, contribuendo così a produrre mutazioni che aumentano il rischio di cancro. Se, per esempio, sono integrate in una sequenza genetica responsabile dei meccanismi di soppressione dei tumori, la funzionalità di questi meccanismi potrebbe venir meno.
In
realtà un collegamento diretto tra retrovirus e insorgenza di neoplasie
è stato dimostrato solo per tumori del sangue, come la leucemia. Ma
come spiega Aris Katzourakis, primo autore dello studio: “Resta il fatto
che le sequenze di retrovirus endogeni possono far andare storte molte
cose in una cellula, innescando processi tumorali. Via via che aumentano
le dimensioni degli animali, dunque, aumenta anche la probabilità che
qualcosa vada storto: per questo ipotizziamo che qualche tipo di
pressione evolutiva abbia agito in modo che i grandi animali riducessero
il numero di sequenze ereditate da retrovirus endogeni”.
In mancanza di un meccanismo di controllo e riduzione dei retrovirus endogeni, in sostanza, animali di enormi dimensioni non sarebbero mai potuti esistere.
“Possiamo anche ribaltare la questione e sostenere che il fatto che gli animali più grandi abbiano evoluto meccanismi per limitare i retrovirus endogeni è la prima prova sperimentale della correlazione tra numero di retrovirus endogeni nel genoma, incremento del rischio di mutazioni e insorgenza di tumori”, conclude Katzourakis.
In mancanza di un meccanismo di controllo e riduzione dei retrovirus endogeni, in sostanza, animali di enormi dimensioni non sarebbero mai potuti esistere.
“Possiamo anche ribaltare la questione e sostenere che il fatto che gli animali più grandi abbiano evoluto meccanismi per limitare i retrovirus endogeni è la prima prova sperimentale della correlazione tra numero di retrovirus endogeni nel genoma, incremento del rischio di mutazioni e insorgenza di tumori”, conclude Katzourakis.
lescienze.it
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