Potere alla parola, lavoro di memoria
Questa è la storia di Nello e Pietro. Uno è nato a Pescara,
cresciuto davanti all’immensità del mare, l’altro è nato in Calabria,
cresciuto in mezzo ai colori dei campi.
Una volta diventati uomini e sposati, in un’Italia messa a terra per colpa della crisi, si lasciano sedurre da un’opportunità di lavoro nelle miniere di carbone in Belgio.
Un progetto bilaterale firmato con l’Italia. Questo lavoro è proprio la
soluzione per una nuova vita: si promette loro un lavoro, una casa,
delle allocazioni famigliari per chi ha una famiglia… c’è finalmente un
modo per uscire fuori di questa fame! Quindi Nello e Pietro fanno la
valigia in direzione Milano per la partenza verso il Belgio col treno,
come più di 50.00 altri Italiani, lasciando moglie e figli.
Questa è stata la loro prima giornata di lavoro: hanno dovuto
scendere nelle viscere della terra, a più di 1000 metri di profondità,
senza maschera antigas, con lampade che facevano così poca luce che i
loro occhi si abituavano all’oscurità completa e nessuna protezione per
le orecchie, sottoposte al rumore assordante delle escavatrici. Per
poter far scendere il maggior numero possibile di uomini, i minatori si
accovacciavano negli ascensori dove venivano inseriti i carelli che
contenevano il carbone.Quanto inconfortabile è stato questo viaggio: su
carri merci, come gli animali, trattati come i loro stessi bagagli che
racchiudevano le pochissime cose che possedevano. Appena arrivati in
Belgio, venivano subito disinfettati. Perché? Lo capiranno molto più
tardi… Così il giorno dopo l’arrivo si inizia subito a lavorare.
Intanto le moglie e i figli di Nello e Pietro, come tante altre
famiglie, li hanno raggiunti in Belgio. Hanno smesso di lavorare nelle
miniere perché Nello si ammalò all’età di soli 40 anni, come tanti che hanno lavorato nelle miniere, della silicosi “la malattia del minatore”,
malattia che rovina i polmoni per avere respirato tanta polvere di
carbone. Sua moglie Elisabetta è stata costretta ad andare a lavorare in
una fabbrica con le figlie maggiori, che per forza hanno dovuto girare
le spalle agli studi, per sostenere i bisogni della famiglia. Pietro
invece con sua moglie Giuseppina hanno venduto le terre in Calabria per
aprire un negozio di prodotti Italiani. Faranno altri figli, che hanno
fatto dei figli anche loro. Per, alla fine, spegnersi in Belgio,
lontano dall’immensità del mare e dai colori dei campi della loro
infanzia, lontano dai loro sogni, abbandonati dal Paese che li ha visti
nascere. E con la loro storia ignorata da tutti. Senza nemmeno
aver potuto imparare il francese, rinchiusi nei quartieri di periferie
pieni d’Italiani, senza sapere né leggere né scrivere. Non pensavano che
finisse così, il giorno in cui hanno messo il piede qui…Vedendo le
condizioni di lavoro pericolosissime, Nello, Pietro e tanti altri
volevano rientrare subito in patria, ma nessuno aveva detto loro che
avevano firmato un contratto che li obbligava a lavorare in quel luogo e
in quelle condizioni. Per cui molti furono addirittura arrestati dalla
polizia belga, come si fa con i disertori.
Nessuno aveva detto loro che erano stati “venduti” per un sacco di carbone. Eh sì, purtroppo il
cosiddetto accordo italo-belga prevedeva il trasferimento di 50.000
operai sotto i 35 anni in buono stato di salute per 12 mesi di contratto
per lavoratore, in cambio di 200 kg di carbone al giorno garantito
all’Italia. E poi i tanto sospirati alloggi non erano altro che
degli hangar di lamiera, dove avevano vissuto i prigionieri russi in
tempo di guerra, tra le pulci e ogni tipo di sporcizia. Chi arrivava con
le famiglie non si poteva permettere di andare a vivere altrove, primo
perché non aveva denaro, ma soprattutto perché il popolo dei minatori
era un popolo invisibile, che doveva stare ben nascosto in luoghi
isolati, lontano dalle città.
Poi, c’era un’ulteriore umiliazione: i locali pubblici avevano affissa la scritta “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”.
I cani non erano ammessi, ma godevano sul cartello del primo posto! E
in questa situazione, a causa di un errore umano, accadde
l’irreparabile… In un giorno caldissimo di agosto la miniera di Marcinelle scoppia e muoiono 262 uomini, tra i quali 136 cittadini italiani. Dopo di che, l’Italia rompe il suo accordo con il Belgio e non manderà più nessuno.
Nello, Elisabetta, Piero e Giuseppina sono i miei nonni. Sono arrivati in Belgio dopo la guerra nel 1949. Io invece, Romina, sono nata qui in Belgio nel 1986, sono di terza generazione della comunità italiana del Belgio. Ora sono animatrice socio-culturale nel centro sociale La Baraka a Liegi, dove lavoro con ragazzi e ragazze stranieri anche loro. Per dar loro un messaggio di speranza attraverso la cultura Hip Hop con il mio progetto «Speranza Urbana».
Spiego che le loro condizioni sono molto di più che «fragilità sociale».
Altroché! Sono tutte le loro forze! E bisogna rivendicarle! Tutto
questo mettendo in luce una cultura universale che è l’Hip Hop. Anche
lui troppo spesso giudicato, sconosciuto è denigrato, lo faccio tornare
alla sua base: uno strumento per esprimersi e fare sentire le voci di
quelli e quelle che non vengono mai ascoltati.
Vorrei tanto raccontar loro quanto è stata brutta questa storia, che è
anche la loro, mantenuta sotto il silenzio per troppi anni. Per
ricordar loro che le discriminazioni e il razzismo non sono solo affare
di chi ha la pelle scura : perchè Nello, Pietro, Giuseppina o
Elisabetta avrebbero potuto essere anche i loro nonni. Umiliati
e discriminati perché non avevano la faccia da «bravi», accusati di
rubare il pane dei belgi, vedendo scappare via tutti i loro sogni. Ma quello era solo il primo round, al secondo ci penso io, la nuova generazione: realizzerò tutti sogni miei per loro, lo prometto!
Inossidabile è il bagaglio culturale che ci ha trasmesso, così grande
che se anche vado in giro senza un soldo in tasca mi sento ricca.Laurea
in tasca, sono pronta per la rivincita sociale. Per onorare la memoria
di chi ha fatto tanti sacrifici per offrirmi delle opportunità che non
hanno avuto loro. Per ringraziare il coraggio di mia mamma che, sola e
senza lavoro, ha educato due figli facendo di noi ciò che siamo oggi.Poi,
vado spesso in Italia per le vacanze. Per soddisfare la voglia di
vedere l’immensità del mare e i colori dei campi, rinchiusa dentro di me,
per ritrovare le mie radici. Ma gli italiani vedono in me solamente una
semplice turista belga, venuta per trascorre le vacanze. Ho capito
troppo tardi che ovunque andrò, sarò sempre una straniera, o magari sarà
quella che viene chiamato «crisi d’identità».
Sì, vorrei tanto raccontare agli italiani tutto questo. Per ricordar
loro che quello che si scorda della storia si condanna altri a
riviverlo. Spiegandogli che ogni volta che mi sento persa, e che non so
più dove vado, mi ricordo da dove vengo. Per questo si torna al Paese
d’origine. Ed è proprio in questo momento, grazie a Amir, che armata di
una semplice piuma, sto aprendo il terzo round.
razzismobruttastoria.net
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