Clima, l'agonia del giardino Europa
Il vantaggio climatico per il Vecchio
Continente sta per finire. Ma il cittadino europeo, ancora e malgrado
tutto, non riesce a provare un sentimento d'urgenza e allarme per i
cambiamenti. Alluvioni? Secche? Cicloni? Cose d'altri! Ma si tratta di
una pericolosa illusione, per due ordini di ragioni.
L'Europa è fertile, l'Europa è mite, è un vero giardino! Ci sentiamo al
sicuro, un po' più degli altri. Il riscaldamento globale sta già
producendo conseguenze pesanti in diverse zone del mondo, ma non da noi.
Non troppe almeno, e poi, comunque, l'Europa è un continente ricco e
può permettersi di affrontare i costi per adattarsi a limitate
variazioni nei cicli climatici.
Questo è quanto viene spontaneo pensare a noi europei, perché storicamente ci siamo abituati a un clima stabile, estremamente favorevole, e certo co-protagonista del favoloso sviluppo culturale, economico e tecnologico che il Vecchio Continente ha messo in moto. La piccola propaggine dell'Asia che chiamiamo Europa - questo è il nostro continente - per millenni ha prosperato abbracciata dall'effetto stabilizzante dell'Oceano che la sovrasta, benedetta da inverni mitigati dalla corrente del Golfo (la freddissima Montreal si trova più o meno alla latitudine di Milano), addolcita dal respiro del Mediterraneo.
Quindi, certe prospettive non sappiamo calarle in immagini concrete e vere nella loro drammaticità: per un contadino del Nord Est brasiliano o per un pastore del Sahel, la parola siccità evoca tragedie vere, vissute, recenti. Anche nei paesi ricchi, per un agricoltore americano il dust bowl - le tempeste di sabbia che distrussero tutto negli anni trenta - sono un ricordo recente, mentre per un allevatore australiano incendi e inondazioni sono ferite aperte. Nel nostro immaginario, invece, rimangono racconti esotici, marginali scomodità o, al massimo, aumenti nei prezzi dei prodotti agricoli, malgrado la recente, crescente, e incontestabile morsa di fenomeni climatici estremi che colpiscono anche noi, ma che continuiamo ostinatamente a sentire come eccezionali e temporanei.
Ed ecco come il cittadino europeo, ancora e malgrado tutto, non riesce a provare un sentimento d'urgenza e allarme per i cambiamenti climatici. Alluvioni? Secche? Cicloni? Cose d'altri! Ma si tratta di una pericolosa illusione, per due ordini di ragioni.
Anzitutto, il territorio europeo non sarà risparmiato: il vantaggio climatico a cui ci siamo abituati non è detto che duri e, anzi, potrebbe svanire molto presto. Uno studio recente - The European climate under a 2°C global warming, pubblicato a marzo su Environmentdal Research Letters - ci indica un futuro diverso e inquietante. Valendosi di 15 simulazioni climatiche regionali differenti, traccia uno scenario del clima europeo qualora si raggiungesse la fatidica soglia di un aumento della temperatura media terrestre pari a 2 gradi, ovvero l'incremento che, per consenso internazionale, viene considerato una vera e propria soglia di catastrofe: se si va oltre i due gradi, diventa molto probabile mettere in moto dei cicli cumulativi locali e globali che spingono il pianeta a riscaldarsi sempre di più e che potrebbero condurre tanto l'umanità quanto l'ecosistema al tracollo.
Vale poi la pena preoccuparsi fin d'ora di una prospettiva così remota? Forse si, poiché le proiezioni indicano che - in assenza di urgenti e massicci correttivi - la soglia dei 2 gradi la oltrepasseremo molto presto, fra il 2030 e il 2050. E l'Europa in tutto questo? L'Europa è un giardino!
Solo che, con un aumento medio globale delle temperature pari a 2° C - indicano i ricercatori - la manifestazione locale del riscaldamento sull'Europa promette di essere più acuta, ovvero parte del vecchio continente sperimenterebbe medie regionali di incrementi del caldo superiori a 2°C, con vari fenomeni estremi che ne derivano in quelle zone e altrove. In realtà, non siamo al riparo da nulla e, anzi, proprio per la sua storia di territorio generoso e sfruttato all'inverosimile, l'Europa è più vulnerabile a un'estremizzazione del clima. Non saremo risparmiati, se non per il fatto che avremmo risorse sufficienti per tentare di adattarci al rapido cambiamento, se solo reagissimo per tempo. E anche questo è un pericoloso miraggio.
Ammesso e non concesso che - in un lasso di tempo così breve, un trentennio - noi riuscissimo ad attrezzare le nostre campagne e le nostre città per mantenerle produttive, vivibili e stabili, cosa otterremmo? Un inasprimento del divario fra ricchi e poveri. Diverremmo la fortezza che milioni di vittime di una natura in rivolta cercheranno di espugnare: l'odioso paradigma del privilegio, la meta ambita di interi popoli che non hanno potuto adattarsi, uno spuntone di Asia assediato da ogni lato, una civiltà che aveva farneticato di giustizia e diritti dell'uomo ma che sarà costretta a tenere fuori a forza gli esclusi.
E' questo che vogliamo? Quanto potremmo resistere? Non possiamo dare per scontato che l'Europa rimanga un giardino, perché il cambiamento climatico colpirà anche le nostre terre. E nemmeno possiamo illuderci che regga a lungo come fortezza: perché l'umanità è una sola e il disagio dell'altro, fatalmente, colpirà anche noi.
Questo è quanto viene spontaneo pensare a noi europei, perché storicamente ci siamo abituati a un clima stabile, estremamente favorevole, e certo co-protagonista del favoloso sviluppo culturale, economico e tecnologico che il Vecchio Continente ha messo in moto. La piccola propaggine dell'Asia che chiamiamo Europa - questo è il nostro continente - per millenni ha prosperato abbracciata dall'effetto stabilizzante dell'Oceano che la sovrasta, benedetta da inverni mitigati dalla corrente del Golfo (la freddissima Montreal si trova più o meno alla latitudine di Milano), addolcita dal respiro del Mediterraneo.
Quindi, certe prospettive non sappiamo calarle in immagini concrete e vere nella loro drammaticità: per un contadino del Nord Est brasiliano o per un pastore del Sahel, la parola siccità evoca tragedie vere, vissute, recenti. Anche nei paesi ricchi, per un agricoltore americano il dust bowl - le tempeste di sabbia che distrussero tutto negli anni trenta - sono un ricordo recente, mentre per un allevatore australiano incendi e inondazioni sono ferite aperte. Nel nostro immaginario, invece, rimangono racconti esotici, marginali scomodità o, al massimo, aumenti nei prezzi dei prodotti agricoli, malgrado la recente, crescente, e incontestabile morsa di fenomeni climatici estremi che colpiscono anche noi, ma che continuiamo ostinatamente a sentire come eccezionali e temporanei.
Ed ecco come il cittadino europeo, ancora e malgrado tutto, non riesce a provare un sentimento d'urgenza e allarme per i cambiamenti climatici. Alluvioni? Secche? Cicloni? Cose d'altri! Ma si tratta di una pericolosa illusione, per due ordini di ragioni.
Anzitutto, il territorio europeo non sarà risparmiato: il vantaggio climatico a cui ci siamo abituati non è detto che duri e, anzi, potrebbe svanire molto presto. Uno studio recente - The European climate under a 2°C global warming, pubblicato a marzo su Environmentdal Research Letters - ci indica un futuro diverso e inquietante. Valendosi di 15 simulazioni climatiche regionali differenti, traccia uno scenario del clima europeo qualora si raggiungesse la fatidica soglia di un aumento della temperatura media terrestre pari a 2 gradi, ovvero l'incremento che, per consenso internazionale, viene considerato una vera e propria soglia di catastrofe: se si va oltre i due gradi, diventa molto probabile mettere in moto dei cicli cumulativi locali e globali che spingono il pianeta a riscaldarsi sempre di più e che potrebbero condurre tanto l'umanità quanto l'ecosistema al tracollo.
Vale poi la pena preoccuparsi fin d'ora di una prospettiva così remota? Forse si, poiché le proiezioni indicano che - in assenza di urgenti e massicci correttivi - la soglia dei 2 gradi la oltrepasseremo molto presto, fra il 2030 e il 2050. E l'Europa in tutto questo? L'Europa è un giardino!
Solo che, con un aumento medio globale delle temperature pari a 2° C - indicano i ricercatori - la manifestazione locale del riscaldamento sull'Europa promette di essere più acuta, ovvero parte del vecchio continente sperimenterebbe medie regionali di incrementi del caldo superiori a 2°C, con vari fenomeni estremi che ne derivano in quelle zone e altrove. In realtà, non siamo al riparo da nulla e, anzi, proprio per la sua storia di territorio generoso e sfruttato all'inverosimile, l'Europa è più vulnerabile a un'estremizzazione del clima. Non saremo risparmiati, se non per il fatto che avremmo risorse sufficienti per tentare di adattarci al rapido cambiamento, se solo reagissimo per tempo. E anche questo è un pericoloso miraggio.
Ammesso e non concesso che - in un lasso di tempo così breve, un trentennio - noi riuscissimo ad attrezzare le nostre campagne e le nostre città per mantenerle produttive, vivibili e stabili, cosa otterremmo? Un inasprimento del divario fra ricchi e poveri. Diverremmo la fortezza che milioni di vittime di una natura in rivolta cercheranno di espugnare: l'odioso paradigma del privilegio, la meta ambita di interi popoli che non hanno potuto adattarsi, uno spuntone di Asia assediato da ogni lato, una civiltà che aveva farneticato di giustizia e diritti dell'uomo ma che sarà costretta a tenere fuori a forza gli esclusi.
E' questo che vogliamo? Quanto potremmo resistere? Non possiamo dare per scontato che l'Europa rimanga un giardino, perché il cambiamento climatico colpirà anche le nostre terre. E nemmeno possiamo illuderci che regga a lungo come fortezza: perché l'umanità è una sola e il disagio dell'altro, fatalmente, colpirà anche noi.
cadoinpiedi.it
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