Dieci anni agli assassini di Khaled Sa’id

La corte penale di Alessandria ha condannato ieri i due poliziotti che nel 2010 torturarono a morte il giovane blogger. Un caso che generò una profonda ondata di sdegno per la brutalità del regime di Mubarak. Quindici organizzazioni internazionali dei diritti dell’uomo protestano per le “violazioni in corso in Egitto”.

Roma, 4 marzo 2014 – La corte penale di Alessandria ha condannato ieri due poliziotti egiziani a 10 anni di carcere per aver ucciso il blogger egiziano Khaled Said. Awad Saleh e Mahmud Ghazala sono stati ritenuti colpevoli di aver torturato a morte il giovane attivista nel giugno del 2010. Aria tesa in tribunale già prima del verdetto: i parenti degli accusati si sono scontrati con le guardie di sicurezza dopo che il giudice aveva deciso di escluderli dall’aula giudiziaria.

Una condanna, quella pronunciata ieri, che non ha accontentato nessuno. Gli avvocati difensori di Saleh e Ghazala hanno subito dichiarato che faranno ricorso. Ma anche i familiari della vittima sono rimasti perplessi per la mano leggera del giudice. La sorella di Sa’id, Zaharaa, ha affidato a Facebook il suo rammarico: “noi ci aspettiamo pene più severe per gli assassini”.

Nell’ottobre del 2012 i due poliziotti erano già stati condannati a sette anni di prigione per aver imprigionato e torturato Sa’id. Ma anche allora il verdetto non soddisfò né la Difesa né l’Accusa che decisero di ricorrere in appello.

Intervistato da Ahram nel 2012, l’avvocato della famiglia Sa’id, Mahmoud Afifi, sostenne che la legge egiziana prevede condanne di 15 anni quando una membro della polizia colpisce qualcuno provocandone la morte poiché gli ufficiali “dovrebbe conoscere meglio [l'ordinamento, ndr]”.

Sa’id era un giovane blogger di 28 anni che fu oggetto della violenza brutale della polizia perché in possesso di un video che mostrava alcuni agenti mentre si spartivano i guadagni dopo una retata per droga.

La morte di Khaled non passò sotto silenzio. Un’ondata di proteste contro la violenza, la corruzione e l’impunità della polizia attraversò il Paese intero. Ma soprattutto, la sua morte fu l’ennesima dimostrazione di quanto fosse brutale il regime di Hosny Mubarak e l’operato del suo Ministro degli Interni, Habib el-Adly.

La pagina Facebook “Tutti siamo Khaled Sa’id” riuscì in poco tempo ad attirare molti egiziani ed è stato un importante megafono del malcontento dei tanti egiziani verso il regime mubarakiano. Che fosse un tema delicato anche per il governo sostenuto dai militari è stato evidente lo scorso gennaio quando otto attivisti sono stati condannati a due anni di prigione e ad una multa di 50.000 sterline egiziane per aver protestato senza permesso a dicembre mentre era in corso una seduta del processo Sa’id.

Ieri, intanto, 15 organizzazioni internazionali dei diritti umani hanno chiesto al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite di prendere una posizione contro “le violazioni in corso in Egitto”.

“In questo periodo critico della storia egiziana, in un periodo in cui gli attivisti politici pacifisti, i difensori dei diritti umani e tutti i media indipendenti in Egitto sono sotto attacco – si legge nella lettera inviata al Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu – noi vi scriviamo esortando la vostra delegazione a lavorare con altri stati membri ed osservatori del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (HRC) affinché venga affrontata la grave situazione dei diritti umani in Egitto nella prossima 25esima sessione dell’UN HRC”.

I gruppi accusano l’eccessivo uso della violenza da parte delle forze di sicurezza contro i manifestanti, le restrizioni sulla libertà di associazione ed espressione, gli imprigionamenti arbitrari di attivisti e giornalisti e la mancata protezione delle minoranze e dei diritti delle donne.

Atmosfera tesa quella che si respira in Egitto. Le proteste dei lavoratori che lottano per un salario minimo garantito e che denunciano le gravi condizioni economiche in cui versano sono all’ordine del giorno. Accanto alle loro manifestazioni, vi sono poi quelle dell’opposizione (soprattutto dei sostenitori dei Fratelli Musulmani) che giudicano illegittimo il governo dei militari. Le tensioni sociali preoccupano il neo premier Ibrahim Mehleb che domenica, nel suo primo discorso da quando ha sostituito Beblawi alla carica di primo ministro, ha invitato gli egiziani a porre fine alle proteste “affinché il paese possa essere ricostruito”.

Mehleb, membro della Commissione Politica del Partito Nazionale Democratico guidato da Mubarak, ha anche affermato che il suo governo realizzerà gli obiettivi del 25 gennaio 2011 [l'inizio delle proteste di massa che portarono alla cacciata di Mubarak, ndr] e del 30 giugno 2013 promettendo “giustizia sociale”. “Mantenere la sicurezza e combattere il terrorismo sono le priorità di questo esecutivo. La battaglia contro i militanti avverrà secondo quanto prevede la legge rispettando il sangue degli egiziani e i diritti umani” ha aggiunto.

Ma proprio nelle ore in cui parlava, i pubblici ministeri egiziani decidevano di trascinare in tribunale 37 sostenitori del Presidente Mohammed Morsi rimosso con un colpo militare lo scorso 3 luglio. Le motivazioni sono “raduno illegale, atti vandalici contro beni pubblici, affiliazione a gruppo terroristico”.
 
 
 
 
 
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