Obama le pressioni le fa sui palestinesi
Washington invita Abu Mazen a «correre dei rischi». Il
leader dell’Anp esige che venga onorato l’impegno a liberare i
prigionieri politici preso a luglio da Israele. Esclusa la scarcerazione
di Barghouti e Saadat.
Gerusalemme, 18 marzo 2014. In un clima rovente,
con migliaia di palestinesi in strada a Ramallah e in altre città della
Cisgiordania a scandire slogan contro cedimenti alle pressioni
americane e israeliane, Barack Obama ha ricevuto alla Casa Bianca il
leader dell’Olp e dell’Anp Abu Mazen. Un Obama indignato per le
“violazioni” russe del diritto internazionale in Ucraina e Crimea, non
si è mostrato altrettanto indignato per l’occupazione israeliana di
Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est che dura da quasi 47 anni.
Il presidente Usa ha detto ad Abu Mazen che i palestinesi devono
«correre dei rischi per la pace». Come se per i palestinesi non fosse
già rischiosa e insidiosa la situazione in cui vivono da decenni, con
l’espansione delle colonie israeliane, le confische di terre, i
bombardamenti su Gaza, i posti di blocco, il Muro, la paralisi
dell’economia e via dicendo. Sulla necessità di prendere «decisioni
politiche forti» ha insistito anche il Segretario di stato americano
John Kerry.
Abu Mazen, sotto pressione, ha replicato aggrappandosi all’ancora di
salvezza della liberazione dei prigionieri politici. «Israele, se vuole
mostrarsi uno Stato serio, deve mantenere l’impegno di liberare i
prigionieri», ha detto con la speranza di inviare un messaggio di
fermezza alla popolazione palestinese che attende la liberazione da
parte di Israele del quarto scaglione di una trentina di detenuti
politici. Abu Mazen si gioca una fetta di reputazione sul rispetto di
Netanyahu dei punti dell’intesa mediata da John Kerry lo scorso luglio
per il rilancio delle trattative bilaterali che si concluderanno il
prossimo 29 aprile. Per il presidente dell’Anp la scarcerazione dei
prigionieri è fondamentale. Ma il governo Netanyahu non è intenzionato a
concedergli questo successo.
Nei giorni scorsi un ministro israeliano,Yaacov Perry, ha messo in
chiaro che in caso di interruzione delle trattative non ci sarà la
liberazione di detenuti. Non solo, Netanyahu e i suoi ministri non
sembrano avere alcuna voglia di rimandare a casa, così come era stato
stabilito, i prigionieri politici palestinesi con cittadinanza
israeliana. E un ministro, Israel Katz, ha espresso la totale
opposizione all’eventuale liberazione del popolare leader del movimento
Fatah, Marwan Barghouti (in carcere in Israele dal 2002 dove sconta una
condanna a 5 ergastoli), per facilitare la prosecuzione delle
trattative. Secondo un giornale arabo, Abu Mazen per rimanere al tavolo
del negoziato dopo il 29 aprile vorrebbe la scarcerazione di Baghouti e
del leader del Fronte Popolare Ahmed Saadat. «Se (Abu Mazen) la
chiederà, dobbiamo rispondere ‘No’», ha scritto Katz nella propria
pagina Facebook. «Barghouti deve marcire in carcere fino al giorno in
cui esalerà l’ultimo respiro», ha aggiunto il ministro.
Una rigidità che non sorprende. In questi ultimi anni Netanyahu ha
fatto scarcerare, nel quadro di scambi di detenuti con Hamas e di intese
con Abu Mazen, palestinesi condannati a numerosi ergastoli per
attentati e altri fatti di sangue ma ha sempre respinto la possibilità
di rilasciare Barghouti e Saadat. Per chi vive nei Territori il rifiuto
israeliano vuole impedire che due leader stimati e popolari possano far
ritorno sulla scena politica, contribuendo a ridare fiato alle speranze
di chi vive sotto occupazione. «Abu Mazen deve chiedere che Saadat e
Barghouti siano liberati subito, se Israele non accetta allora il
presidente deve abbandonare i negoziati», ripetevano ieri alcuni
manifestanti a Ramallah.
Le possibilità che il negoziato faccia passi in avanti sono vicine
allo zero. Netanyahu continua a chiedere che i palestinesi riconoscano
Israele come Stato del popolo ebraico per poter andare avanti. E non
farà marcia indietro nonostante il s\ecco rifiuto di Abu Mazen che teme
le ricadute di tale riconoscimento per i diritti dei profughi e per lo
status dei palestinesi cittadini di Israele.
A questo punto le due parti, per non assumersi la responsabilità del
fallimento dell’iniziativa lanciata da John Kerry, con ogni probabilità
accetteranno di estendere le trattative fino a dicembre. Un prendere
tempo che sposta solo in avanti il momento del tracollo dell’ennesima
mediazione americana.
nena-news.it
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