Omicidi e torture: una eritrea racconta la tratta degli schiavi
"Una sera, portarono fuori due ragazze. Un'ora dopo, ne tornò solo una.
L'altra era stata uccisa". La donna eritrea parla ai magistrati della
Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Racconti di orrore su
orrore. Sullo sfondo, la tratta di uomini e l'immane tragedia al largo
di Lampedusa, con centinaia e centinaia di morti.
"A luglio, assieme ad altri miei compagni, all'incirca 130 persone di cui 20 donne - ha raccontato la testimone - c'eravamo messi in marcia nel deserto tra il Sudan e la Libia: all'improvviso fummo fermati e costretti sotto la minaccia di armi da fuoco a salire su alcuni furgoni. A piccoli gruppi, ci condussero con la forza all'interno di una casa sita nella città di Sebha. I nostri sequestratori erano circa 50 uomini, di origine somala e sudanese". Davanti ai magistrati antimafia,una giovane di 17 anni. È stata lei stata tra i primi a riconoscere il carceriere somalo nel centro di accoglienza di Lampedusa.
"Dopo averci rinchiuso in quella casa, ci tolsero tutto, ci tolsero il telefonino. Ci dissero che dovevamo fare un'ultima chiamata, ai nostri familiari, per chiedere un riscatto per la nostra liberazione". I giorni passavano e tutti quanti segregati e costretti a stare in piedi per l'intera giornata. E poi, le torture, con ogni mezzo, i manganelli, le scariche elettriche alle piante dei piedi. Chi osava ribellarsi veniva "incaprettato", con corde a gambe e collo, col rischio di strozzarsi. La richiesta per il riscatto, fino a 3.500 dollari. Se non arrivavano i soldi sui loro correnti, ancora segregazione.
E le donne che non pagavano, violentate a ripetizione. Al pagamento del riscatto andavamo al cospetto di tale Aziz - ha verbalizzato la testimone - un uomo eritreo che vive a Tripoli. Fa parte dell'organizzazione criminale di Ermies o di Abdelrazak, sono loro che si occupano dei viaggi per l'Europa. Quando, alla fine della carcerazione e delle violenze, si partiva, altri soldi.
Lei, appena 17enne ha pure conosciuto la violenza carnale dei suoi aguzzini: "Una sera, dopo essere stata allontanata dal mio gruppo, sono stata costretta dal somalo e da altri due suoi uomini ad uscire". Prima d'essere violentata, terrorizzata con benzina sul capo, sul viso e sul corpo. Dopo le violenze, il viaggio, il lutto immenso per aver perso familiari e amici coi quali aveva condiviso l'orrore e la speranza di un mondo migliore.
"A luglio, assieme ad altri miei compagni, all'incirca 130 persone di cui 20 donne - ha raccontato la testimone - c'eravamo messi in marcia nel deserto tra il Sudan e la Libia: all'improvviso fummo fermati e costretti sotto la minaccia di armi da fuoco a salire su alcuni furgoni. A piccoli gruppi, ci condussero con la forza all'interno di una casa sita nella città di Sebha. I nostri sequestratori erano circa 50 uomini, di origine somala e sudanese". Davanti ai magistrati antimafia,una giovane di 17 anni. È stata lei stata tra i primi a riconoscere il carceriere somalo nel centro di accoglienza di Lampedusa.
"Dopo averci rinchiuso in quella casa, ci tolsero tutto, ci tolsero il telefonino. Ci dissero che dovevamo fare un'ultima chiamata, ai nostri familiari, per chiedere un riscatto per la nostra liberazione". I giorni passavano e tutti quanti segregati e costretti a stare in piedi per l'intera giornata. E poi, le torture, con ogni mezzo, i manganelli, le scariche elettriche alle piante dei piedi. Chi osava ribellarsi veniva "incaprettato", con corde a gambe e collo, col rischio di strozzarsi. La richiesta per il riscatto, fino a 3.500 dollari. Se non arrivavano i soldi sui loro correnti, ancora segregazione.
E le donne che non pagavano, violentate a ripetizione. Al pagamento del riscatto andavamo al cospetto di tale Aziz - ha verbalizzato la testimone - un uomo eritreo che vive a Tripoli. Fa parte dell'organizzazione criminale di Ermies o di Abdelrazak, sono loro che si occupano dei viaggi per l'Europa. Quando, alla fine della carcerazione e delle violenze, si partiva, altri soldi.
Lei, appena 17enne ha pure conosciuto la violenza carnale dei suoi aguzzini: "Una sera, dopo essere stata allontanata dal mio gruppo, sono stata costretta dal somalo e da altri due suoi uomini ad uscire". Prima d'essere violentata, terrorizzata con benzina sul capo, sul viso e sul corpo. Dopo le violenze, il viaggio, il lutto immenso per aver perso familiari e amici coi quali aveva condiviso l'orrore e la speranza di un mondo migliore.
globalist.it
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